Cnr, tante riforme ma sempre meno spazio alle scienze umane

di Tullio Gregory*
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Giovedì 5 Aprile 2018, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 00:13
* Accademico dei Lincei - 


Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) vive da anni una vita povera e inquieta: senza adeguati finanziamenti per la ricerca nel bilancio dello Stato, in un panorama politico nel quale nessun partito iscrive nei suoi programmi di governo quanto investire in questo settore vitale per lo sviluppo del Paese, obbligato a inseguire finanziamenti internazionali perdendo spesso la propria iniziativa; i ricercatori e tecnici, in ruoli ridotti e senza ricambio (età media oltre i 50 anni), sono spinti ad essere procacciatori di affari e vengono valutati in base ai finanziamenti che riescono a trovare sul mercato internazionale. Come è noto l’Italia è il finalino di coda per le spese della ricerca.
Oltre a queste condizioni storiche, il Cnr è continuamente attraversato da conati di “riforma”, dopo la grande incisiva riforma del 1963 che portò le scienze umane nel Cnr. Nei primi decenni successivi la presenza nel Cnr delle scienze storiche, filologiche, sociologiche, storico-artistiche diede ottimi risultati creando una sinergia con le università che portò il Cnr ad alti livelli internazionali in questi campi disciplinari. Poi è iniziato un processo di marginalizzazione delle scienze umane, non sempre ben viste nello stesso Cnr. Così se con la riforma del 1963 su dieci comitati di consulenza, tre erano per le scienze umane (più uno interdisciplinare per il patrimonio culturale), nel 2003, aboliti i comitati che avevano assicurato un positivo rapporto con le università, furono creati undici Dipartimenti (strutture equivoche scientifico-amministrative) dei quali due per le scienze umane, unificate poi in uno solo (2012) nel quale furono fatte confluire – con 19 istituti – filologia e psicologia, diritto e archeologia, informatica e sociologia in un coacervo privo di significato scientifico.
Oggi si prospetta un’altra mini riforma per ridurre i 19 istituti a 7, numero scelto probabilmente per il suo carattere sacro nelle varie religioni e culture. Si tratta di una riforma, meglio una decimazione, senza un programma culturale che investa i compiti del Cnr come ente di ricerca e la funzione in esso delle discipline umanistiche. Manca anche un programma che riguardi la collocazione di queste scienze nel dipartimento di appartenenza (Dipartimento di Scienze Umane e Sociali e Patrimonio Cultuale) che solo potrebbe giustificare la soppressione degli istituti, alcuni dei quali di primo piano nel panorama internazionale.
Manca un programma, ma abbiamo un rapido saggio di quelle che sono le scelte e le prospettive del riformatore (il direttore del Dipartimento): si tratta di in documento redatto per giustificare la soppressione di due istituti di antica data e di notevole peso culturale (definiti filosofici, quando tali non sono) per crearne uno nuovo in cui si esprima la «ricerca filosofica» del Cnr. Questa ricerca dovrà essere «aggressiva» (nuova corrente filosofica?) e affrontare, si legge nel testo, «tematiche specialistiche dove tuttavia sussistono discussioni a livello epistemologico o etico o in termini di principi generali di metodologia o definizioni operative aspetti fondamentali della ricerca in oggetto» (manca forse qualcosa nell’originale). Soprattutto si deve orientare la ricerca filosofica del Cnr «in senso più teoretico» secondo le prospettive (per la verità un poco datate) del «contesto anglosassone».
Si tratta, come si vede, di un ambizioso progetto più generale che investe e travolge il valore delle puntuali ricerche filologiche, lessicali, linguistiche, testuali fin qui condotte dai vari istituti del Cnr, tutti diffidenti per la teoresi. Non a caso il riformatore vuole sopprimere l’Istituto Opera del Vocabolario Italiano, il grande centro di studio della lingua italiana delle origini che assicura lo spoglio sistematico e lo studio di tutti i documenti italiani sino alla fine del Trecento. Che sia in gioco il patrimonio storico della lingua e della cultura italiana sembra importare poco; evidentemente, per usare il linguaggio del riformatore, la produzione di questo istituto «impatta poco sui processi di elaborazione di idee funzionale alla comprensione e allo studio di dinamiche conoscitive in ambito scientifico».
Contemporaneamente si intende sopprimere anche l’Istituto di linguistica computazionale, erede degli insegnamenti di Roberto Busa, diretto lungamente da Antonio Zampolli, che ha conseguito risultati di grande rilievo in campo della informatica umanistica. 
Stessa fine, cioè soppressione con la scusa di una unificazione, per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, il più antico e fra i più prestigiosi del Cnr (come risulta dalle valutazioni interne ed esterne al Cnr stesso) che nel corso della sua storia più che cinquantennale ha imposto un modo nuovo di leggere autori e testi, il loro linguaggio, la loro storia. Evidentemente anche il Lessico non è impegnato in ricerche che, sempre per seguire il linguaggio del riformatore, non studia «l’impatto che gli avanzamenti conoscitivi e applicativi delle scienze sperimentali possono trovare in diversi contesti di governo delle dinamiche sociali e politiche umane».
Del Lessico si propone un’improbabile fusione con altro istituto, per la Storia del pensiero scientifico moderno, che non ha nulla in comune con il Lessico svolgendo altra importante attività di ricerca.
Se manca dunque alla nuova “riforma” una prospettiva più ampia che investa il problema della presenza delle scienze umane nel Cnr, v’è tuttavia una soggiacente scelta filosofica e forse ancor più un evidente interesse di fare spazio a tematiche teoretiche, etiche e soprattutto bioetiche, con i prevedibili risultati.
 
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