Cittadini e tasse/Un ribaltone per difendere i contribuenti: sfide e incognite

di Carlo Nordio
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Venerdì 8 Giugno 2018, 00:05
Parlando ai commercianti, il ministro del Lavoro e vicepremier Luigi Di Maio ha annunziato l’abolizione dello spesometro e del redditometro e ha concluso: «Inseriremo l’inversione dell’onere della prova, perché siete tutti onesti e spetta allo Stato provare il contrario».

Sono affermazioni di importante valenza politica, perché si saldano con l’originario programma della Lega contribuendo, si presume, alla stabilità del Governo e a salvare la compatibilità con alcune allarmanti tendenze “giustizialiste” emerse dal contratto. Ma sono soprattutto parole di grande saggezza e di civiltà giuridica e, se fossero realizzate, costituirebbero per il nostro sistema tributario una rivoluzione copernicana. Provo a spiegarne il perché.
Il tacito accordo scellerato che il Fisco ha fatto con il contribuente può riassumersi così: «Io ti considero tendenzialmente un evasore che denuncia, se va bene, la metà di quello che guadagna. Pertanto ti piazzo un’aliquota fiscale doppia di quella che meriteresti, così alla fine i conti tornano». Per averne la prova, è sufficiente guardarle, queste aliquote, e ricostruirne la storia. Esse sono state definite alcuni decenni fa, ben prima dell’avvento dell’euro e ben prima dell’inflazione che ha semidistrutto la lira. 

In sostanza, quando chi guadagnava dieci milioni al mese era un nababbo, e quindi, anche se pagava il quaranta per cento del reddito, restava un riccone. Nel corso degli anni, con la svalutazione della lira, e l’introduzione della moneta unica è cambiato tutto: con la conseguenza che chi oggi guadagna cinquemila euro al mese, e magari è monoreddito con famiglia a carico, non è né ricco e neanche benestante, perché il fisco gliene toglie più di un terzo, applicandogli la stessa aliquota del nababbo di quarant’anni prima. Un atteggiamento non solo ingiusto, ma demenziale, che ha portato a due risultati devastanti: il primo, è l’incitamento all’evasione; il secondo, un assurdo e doloroso aggravio per i lavoratori dipendenti e i pensionati che non possono evadere. A questa intollerabile disparità di trattamento, lo Stato ha trovato un rimedio peggiore del male: quello appunto denunciato dal ministro Di Maio.

Presumendo che ogni commerciante, professionista o lavoratore autonomo, sia un evasore, si è invertito l’onere della prova con l’introduzione di strumenti non solo odiosi ma inefficaci. Con l’ulteriore conseguenza, ancor più funesta, che il contribuente, sentendosi vessato ingiustamente, si crea una sorta di alibi giuridico e morale che suona pressapoco così: «Se pagassi tutto il dovuto fallirei: quindi faccio quello che lo Stato presume che io faccia: pago la metà, anzi, potendo, non pago proprio niente». Ecco come nascono i miliardi di economia sommersa e di evasione fiscale. Questa spirale perniciosa ha prodotto anche un’altra conseguenza: che malgrado le leggi sulle manette agli evasori, la prima delle quali risale al 1982, si contano sulle dita di una mano quelli finiti in galera. E questo non perché le pene siano miti, ma perché la sensibilità sociale, anche quella dei magistrati, considera l’infedeltà fiscale un reato minore, se non scusabile quantomeno comprensibile.

Questo solleva grande scandalo presso le anime belle che invocano, anche qui, l’esempio americano, senza considerare che negli Usa le aliquote sono meno della metà della nostre, e soprattutto che il cittadino è assistito da una normativa semplice e chiara, e da uffici tributari che gli danno, gratuitamente, la massima e leale collaborazione. Lì, il cittadino onesto dorme sonni tranquilli. Qui, anche pagando le tasse al centesimo, nessuno può dire altrettanto, perché le leggi sono così oscure, numerose e contraddittorie, che è impossibile rispettarle tutte. Anche su questo Di Maio ha detto cose sacrosante: bisogna eliminare tante norme, e semplificare quelle che restano. Così, la presunzione di onestà del contribuente si coniugherebbe bene con gli altri due obiettivi del governo: abbassare ragionevolmente le aliquote (anche senza arrivare all’improbabile flat tax) e applicare le manette agli evasori, che non avrebbero né alibi né scuse per sottrarsi al loro dovere di cittadini. 

<HS9>Concludo. E’ comprensibile che, dopo tanti anni di vessazioni bizantine, si possa nutrire una certa diffidenza verso l’attuazione di questo saggio proposito. Ma ora è doveroso che il contribuente, invece di presumere che ogni politico sia un astuto mentitore, ricambi la fiducia riconosciutagli dal ministro, naturalmente fino a prova contraria. O meglio, imponendogli l’onere della prova.

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