Per il centrodestra si profila una svolta che lascerà il segno

di Alessandro Campi
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Domenica 22 Aprile 2018, 00:43
L’alleanza di centrodestra ha (quasi) 25 anni di storia. È una formula politica inventata da Silvio Berlusconi nel 1994. Era una formula per tenere insieme il moderatismo post-democristiano, dai lui incarnato e rappresentato, il leghismo bossiano oscillante tra federalismo e secessionismo e la destra di matrice missina. Ma nel contenitore trovarono spazio sin dall’inizio anche molti socialisti della diaspora craxiana e parecchi esponenti del mondo laico-liberale rimasti senza casa.

Una formula originale nella sua semplicità. Nella Prima Repubblica non aveva avuto corso semplicemente perché la destra, essendo marginale ed emarginata, non era associabile ad alcun partito che ambisse al governo. Una formula fortunata, se è vero che ha consentito a Berlusconi e ai suoi alleati di vincere elezioni, di formare governi, di amministrare Regioni e Comuni. Una formula infine solida, visto che ha resistito alle inevitabili sconfitte elettorali, alle lotte e polemiche intestine, ai cambi di paesaggio politico, all’avvicendarsi dei leader e alle infinite disavventure politico-giudiziarie di Berlusconi.
Ma in politica, ecco il suo bello, tutto prima o poi finisce o cambia, anche quello che si pensa immutabile o semplicemente solido. Il 4 marzo il centrodestra, nuovamente unito pur tra qualche malumore, ha vinto le elezioni sfruttando al meglio la legge elettorale vigente. Ma con una novità eclatante rispetto al quarto di secolo passato: Berlusconi, sorpassato nei consensi dalla Lega di Salvini, ha dovuto rinunciare alla guida politica dell’alleanza da lui fondata. Ferma restando, nelle intenzioni e dichiarazioni di tutti i soci, la volontà a marciare egualmente uniti.

Ma ormai sembra chiaro che quel che è durato 25 anni potrebbe finire nell’arco delle prossime 48 ore. Da settimane il M5S esercita, nella persona del premier in pectore Di Maio, un pressing malizioso su Salvini affinché lasci Berlusconi al suo destino. Un invito sempre rimandato al mittente, almeno stando alle dichiarazioni ufficiali, con la motivazione che il centrodestra è una realtà unita. Ma la sentenza palermitana (a proposito di chi dice che la giustizia fa soltanto il suo corso senza interferire sulle dinamiche politiche) ha improvvisamente cambiato il quadro e quindi il possibile schema di gioco. Non bastassero le resistenze e i malumori del leader di Forza Italia per un accordo tra M5S e centrodestra che gli avrebbe assegnato, nella migliore delle ipotesi, un ruolo subordinato e da comprimario, a scompigliare tutto è arrivata appunto la decisione dei giudici sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.

Da ieri si dice e si scrive che la condanna in primo grado di alti funzionari dello Stato, accusati di essersi piegati alle minacce di Cosa Nostra e di aver stretto accordi con quest’ultima, ci obbliga a riscrivere i manuali di storia nel segno della dottrina del “doppio Stato”: quello legale ma impotente che appariva ai cittadini, quello occulto e decisivo che si muoveva nell’ombra e nell’illegalità. Che con questa sentenza si è formalmente chiusa la Seconda Repubblica, la cui genesi effettiva non è stata la crisi istituzionale prodotta dalle inchieste sulla corruzione, ma il patto dannato sottoscritto con la mafia dai beneficiari politici del collasso prodotto da Tangentopoli. Che è finita per sempre (e in modo infamante) la storia politica di Berlusconi.

Vedremo se questa sentenza avrà davvero esiti così radicali sul nostro modo stesso di percepire e raccontare la storia politica del Paese. Di certo rischiano di esserlo i suoi effetti politici immediati. Tra gli altri la possibilità che a questo punto Salvini si decida al grande passo, consistente appunto nel rompere la storica alleanza della Lega con Berlusconi. Una decisione difficile, traumatica e certamente piena di incognite: cosa accadrebbe, giusto per dire, ai governi locali guidati dal centrodestra unito? Ma dall’altro giorno s’è creata, anche a livello di opinione pubblica, una nuova forma di polarizzazione, una linea di divisione inedita, che potrebbe rendere politicamente plausibile e giustificabile l’eventuale separazione decisa a questo punto da Salvini. 
Non è più questione di destra e sinistra., categorie alle quali nessuno ormai crede e che, almeno nel contesto italiano, spiegano davvero poco. Ma non si tratta nemmeno della distinzione, sulla quale s’è discusso sino a qualche giorno fa, tra moderati e radicali (populisti). L’opposizione intorno alla quale si ritiene che si debba provare a costruire una formula di governo (vista come l’inizio potenziale di una Terza Repubblica) è quella – semplicistica quanto si vuole, ma che presenta una sua efficace immediatezza – tra ‘vecchio’ e ‘nuovo’. La sentenza dell’altro giorno, e lasciamo stare quanto sia sospetta o semplicemente casuale la sua tempistica, suggerisce l’idea di un cambiamento radicale, di una pagina della nostra storia politica da voltare per sempre.
Il passato, appunto la Seconda Repubblica, è fallita, ma sono impresentabili e inutilizzabili tutti i suoi protagonisti a vario titolo. Serve un rinnovamento totale – che si vuole politico, di classe di governo, ma che inevitabilmente finisce per essere anche generazionale. Di Maio, dunque. Ma anche Salvini, che guida sì un partito a suo volta antico (anzi, il più antico presente sulla scena), ma che sganciandosi traumaticamente dal centrodestra berlusconiano, al quale dai tempi di Bossi è sempre stato legato, è come se iniziasse una storia interamente nuova, tanto più che nel frattempo da Lega Nord questo partito s’è nella sostanza trasformato in Lega Nazionale o Lega Italia.

Da questa alleanza di governo si immagina possa in prospettiva scaturire un nuovo bipolarismo, laddove il centrosinistra sarebbe rappresentato dai grillini pronto a inglobare quel che resta del Pd renziano e dal leghismo in procinto di annettersi l’elettorato moderato-berlusconiano. Ma davvero Salvini avrà il coraggio di rompere col Cavaliere e di mettersi, per così dire, in proprio? E’ un futuribile politico che ha una qualche plausibilità? Può una decisione della magistratura incidere in modo così diretto e dirimente sugli equilibri del nostro sistema politico-partitico, arrivando a ridisegnarlo alla radice? Un paio di giorni d’attesa e lo sapremo.
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