Berlusconi riabilitato dal Tribunale. Il doppio piano per la ricandidatura

di Alessandro Campi
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Domenica 13 Maggio 2018, 00:08
La riabilitazione di Silvio Berlusconi decisa dal tribunale di sorveglianza di Milano giunge in una fase politica talmente delicata e particolare da prestare il fianco – inevitabilmente – a interpretazioni maliziose. 
Siamo infatti nel bel mezzo della trattativa (tutta in salita) che dovrebbe portare alla nascita di un governo tra M5S e Lega. 

Un’ipotesi di governo che notoriamente non piace al Cavaliere, costretto a starne fuori dai veti grillini. Che viene visto col fumo negli occhi dall’establishment politico-culturale della sinistra, debole nelle urne ma ancora molto forte a livello mediatico. Che non pare granché gradito al Capo dello Stato, ben intenzionato a vagliare con scrupolo tutti i nomi di ministri che gli verranno sottoposti e a esercitare la prerogativa costituzionale di nominare lui il premier incaricato. Che viene contestato nelle strade, prima ancora di nascere, dall’estrema sinistra perché troppo spostato a destra e a rischio di razzismo. E che preoccupa la gran parte delle cancellerie internazionali, a partire dai nostri alleati americani ed europei, i cui ambasciatori sulla piazza romana da giorni si muovano felpati tra i palazzi del potere esprimendo tutte le loro riserve sui rischi di un esecutivo che potrebbe annoverare estimatori dichiarati della Russia putiniana. Anche se c’è il piccolo particolare che un simile potrebbe piacere agli elettori che in maggioranza hanno votato per i due partiti che stanno provando a farlo nascere.

La decisione che rende il Cavaliere nuovamente candidabile ed eleggibile, dopo cinque anni di pubbliche umiliazioni e di dolorose rinunce politiche, è dunque di quelle fatte apposte per alimentare la mentalità complottista e dietrologica degli italiani. Come mai proprio ora? E con quale recondito obiettivo? Viene infatti facile argomentare che, ottenuta una piena riabilitazione, Berlusconi abbia ora tutto l’interesse a far saltare l’accordo che Di Maio e Salvini stanno costruendo. Altro che la «benevola astensione» o l’«opposizione costruttiva» annunciata qualche giorno fa. Molto meglio far saltare il banco e puntare, addirittura, a elezioni anticipate alle quali Berlusconi questa volta parteciperebbe da protagonista e che gli consentirebbero, come già accaduto nel passato, di mettere fondo a tutte le sue capacità come ‘campaign manager’.

Di sicuro il leader di Forza Italia è convinto che con lui in campo, pienamente operativo e candidato premier, il 4 marzo le cose sarebbero andate diversamente. Non solo il centrodestra avrebbe conseguito una vittoria sugli avversari più grande di quella in effetti ottenuta, soprattutto non ci sarebbe stato il sorpasso dell’alleato leghista: quei miseri (dal suo punto di vista) tre punti di distacco che gli sono costati la leadership della coalizione e la messa all’angolo già a partire dalle consultazioni al Quirinale.

Insomma, se serviva un colpo d’ariete per scardinare sul nascere il patto tra i dioscuri del populismo in salsa italica, niente di meglio che stimolare l’orgoglio ferito e la voglia di tornare protagonista del Cavaliere, come in effetti potrebbe accadere con questo sin troppo tempestivo provvedimento di riabilitazione. Ma alimentare insinuazioni e letture oblique in un Paese che vive di sospetti rischia di essere un cattivo esercizio intellettuale. Resta da capire quale comportamento terrà adesso il Cavaliere. 

Davvero gli conviene, adesso che può candidarsi, puntare a elezioni anticipate con l’idea di riprendersi quel centrodestra che è una sua invenzione? Partiamo innanzitutto dall’idea che Berlusconi non ha comunque i numeri per bloccare un eventuale governo giallo-verde, tanto meno, come si è già visto, per far nascere insieme al Pd un governo di tregua o del Presidente. Se ha desiderio di rivincita, non ha dunque la forza sufficiente per soddisfarlo. Oltre alla necessità di mantenere nei confronti di Salvini la stessa lealtà che ha preteso dam quest’ultimo nei suoi riguardi.

Quanto al voto anticipato, che nei suoi pensieri segreti potrebbe segnarne la trionfale rinascita, dovrebbe prima chiedersi se per caso la sua parabola politica non sia arrivata ad un tornante decisivo, se non conclusivo. Il che significa che il sorpasso leghista che tanto gli brucia non è stato solo un incidente, un episodio reversibile, ma un cambio radicale negli equilibri politico-culturali che hanno sin qui caratterizzato il centrodestra e la sua base elettorale. Quest’ultima ha subito negli anni un processo di radicalizzazione, al quale lo stesso mondo berlusconiano ha offerto il proprio contributo, che difficilmente può essere ora arrestato richiamandosi genericamente alle parole d’ordine del moderatismo. Denunciare il populismo non serve a niente se non si ha qualcosa da proporre al suo posto . Forza Italia, in altre parole, è un partito da rifondare: nelle idee, nella strategia e nei gruppi dirigenti. Pensare che basti l’ennesima magia del candidato Berlusconi per tornare ai fasti del passato rischia insomma di produrre un doloroso risveglio. Ma costruire un futuro politico che non lo veda protagonista è esattamente quel che Berlusconi non è mai riuscito a fare. E forse sarà questa la definitiva condanna del suo progetto politico.

Volendo evitare avventure spiacevoli per il Cavaliere forse è preferibile mettersi in posizione d’attesa, giocando per quanto possibile di rimessa. Innanzitutto, il governo leghista-grillino potrebbe non vedere la luce, non perché in molti lo osteggiano dall’esterno, ma perché i due stipulanti non trovano alla fine un’intesa ragionevole. Ovvero una volta nato potrebbe avere vita breve o comunque un cammino difficile a cause delle sue molte contraddizioni interne e delle aspettative degli elettori troppo alte (e costose) per essere interamente assecondate. In passato Berlusconi è stato maestro nell’arte del logoramento: si può ben sostenere un governo su singoli provvedimenti praticando in realtà una sorta di guerriglia parlamentare. D’altro canto, l’onda lunga del malcontento anti-politico si può combattere solo così: non impedendo a chi l’ha magnificamente interpretata in questi anni di entrare nel Palazzo, magari ricorrendo a espedenti, ma sperando che la messa alla prova del governo riveli tutta la fragilità (e inattualità) di programmi costruiti sul filo della propaganda e della demagogia.

Insomma, Berlusconi per il momento potrebbe accontentarsi di tornare in Parlamento, cosa tecnicamente assai facile, dal momento che gli basteranno e dimissioni di qualche suo parlamentare e nuove elezioni suppletive nel collegio uninominale lasciato libero. Per un suo ritorno alla ‘grande politica’ ci vuole tempo: esattamente ciò che nessuna ricchezza può comprare e che i suoi competitori più giovani hanno invece in grande quantità.
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