Benigni: «Dio un giorno disse: faccio un miracolo. E regalò Ciampi agli italiani»

Benigni: «Dio un giorno disse: faccio un miracolo. E regalò Ciampi agli italiani»
di Mario Ajello
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Martedì 20 Settembre 2016, 10:08 - Ultimo aggiornamento: 21 Settembre, 19:49
Durante il funerale, Roberto Benigni e Nicoletta Braschi sono mescolati tra la gente, e non nelle prime file vicino all'altare. Ma appena finisce la cerimonia, il comico toscano premio Oscar e la sua signora raggiungono la famiglia Ciampi e sembrano appartenere al loro mondo. «Per me, è come aver perso il babbo», dice Benigni a tutti e anche a loro. Abbraccia nipoti e nipotini di Carlo Azeglio, e il figlio, la figlia, tutti quanti. Con donna Franca, la moglie dell'ex Capo dello Stato, una serie di carezze, i baci, la vicendevole commozione che non ha nulla di tragico però.

Benigni, conosceva bene Ciampi?
«Lo conosco da sempre, prima ancora che andasse al Quirinale. Per me è stato una sorta di babbo, un buon papà. Era come dovrebbero e come dovremmo essere tutti. Una persona che ha fatto onore, ma la parola onore forse è troppo pomposa per una persona semplice e profonda come lui, a questo nostro Paese. Nel quale Carlo aveva fiducia, e anche io nel mio piccolo ho fiducia nell'Italia».

Che tipo era Ciampi?
«E' stato la personificazione di un doppio miracolo».

Cioè?
«La sua vita è stata un miracolo. Quella vita eccezionale di un ragazzo di Livorno, che ha patito la guerra e poi si è fatto da sè, grazie a una forza di spirito e a una cultura molto vere. Da impiegato di Banca d'Italia a governatore e poi tutto il resto. Mantenendo un tono, una umiltà e una misura ammirevoli».

E l'altro miracolo?
«Il Signore un giorno dev'essersi detto: voglio fare un miracolo agli italiani, ora gli mando il Ciampi! E così ha fatto. Che regalone ci ha mandato».

Di che cosa parlavate quando vi vedevate?
«Di tutto. E ogni volta mi dava la conferma di ciò che ho sempre pensato di lui: persona seria e molto allegra».

Più spiritoso lo statista toscano di lei che è un comico toscano?
«Eh, eh, mi sa di sì ma boh. Comunque la toscanità non c'entra nella nostra amicizia. Potevamo pure essere uno eschimese e l'altro calabrese».

Lei lo sa imitare il Ciampi?
«Io vorrei imitare l'uomo Ciampi. Mi piacerebbe essere come lui. Ma non per le cariche, meritatissime, che ha avuto. Per la sua integrità e per la sua onestà. E' stato un modello».

E ora l'Italia è più povera?
«Di certo, abbiamo perduto un tesoro. La perdita è grande, ma è andato via serenamente a 95 anni, dopo aver dato tanto alla famiglia e a tutti quanti. E comunque ha gettato un seme, ha offerto una lezione civile e umana, queste cose si sedimentano, restano».

Che cosa resta di lui soprattutto?
«Penso all'Europa. Ha buttato quel seme e tutti noi abbiamo sempre più bisogno di Europa. Questo è il grande sogno che ci è rimasto, l'unico. Chi chiude la bella porta dell'Europa, elimina la gioia e la sfida di un sogno. Io non credo che i populismi vinceranno».