Apologia di fascismo: attenti al confine tra la Storia e il reato

di Cesare Mirabelli
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Martedì 11 Luglio 2017, 00:05
L’apologia del fascismo è già prevista come reato, sin dalla legge Scelba del 1952. E’ necessario introdurla come nuova configurazione di reato nel codice penale? Si può comprendere e condividere la opportunità di mantenere viva la valutazione politica sul quel regime, che pure attraversa una fase storica del nostro Paese, e la contrapposizione della repubblica democratica al regime autoritario che ha condotto ad esiti drammatici. Ma è da porre attenzione a sanzionare penalmente la manifestazione di idee che si combattono.

L’equilibrio è dato dalla Costituzione, che garantisce all’art. 21 la libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro messo di diffusione, e nella XII disposizione transitoria vieta la riorganizzazione, in qualsiasi forma, del partito fascista. Il punto di equilibrio è stato affermato dalla Corte Costituzionale nelle sue prime sentenze. Nel 1957, sotto la presidenza di De Nicola, e nel 1958. L’apologia non è una mera difesa elogiativa ma una esaltazione tale da poter condurre al pericolo di una riorganizzazione del partito fascista. E difatti la legge Scelba, ritenuta non in contrasto con la libertà di manifestazione del pensiero colpisce non le idee ma gli atti: si perseguono finalità antidemocratiche, esaltando, minacciando o usando violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla costituzione o denigrando le istituzioni democratici e i valori della Resistenza. Inoltre la legge Mancino del 1993 colpisce gesti, azioni, slogan legati all’ideologia nazifascista e che hanno come scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi etnici, religiosi.

C’è l’esigenza di individuare nuove ipotesi di reato, come vorrebbe il disegno di legge Fiano, o non si rischia nella sostanza di non ampliare l’ambito dei comportamenti già colpiti da sanzioni penali e di mettere a rischio l’equilibrio tra la libertà di manifestazione del pensiero e il limite eccezionale posto dal divieto di ricostituzione del partito fascista? Fino a dove si estende la introduzione del divieto di produrre, distribuire o vendere raffigurazione di persone, immagini o simbilo riferiti al fascismo ?

Si pensi solo ai libri di Renzo De Felice, alle fotografie del regime, del Duce sul cavallo bianco, della mietitura del grano. che hanno raccontato gli anni del consenso crescente di Benito Mussolini. E dove è la propaganda e dove la storia, anche nelle forme divulgative? C’è il rischio che la proposta di legge, della quale si comprende lo scopo apprezzabile di affermare e difendere i valori della democrazia, può incorrere in un limite costituzionale, quello dell’articolo 21 che tutela la libertà di manifestazione del pensiero. Quindi anche un giudizio come la difesa culturale del fascismo è libero. Non si viola questa libertà, e si incorre invece in un divieto costituzionale, se questi giudizi sono poi prodromici alla riorganizzazione del partito fascista.

Se il dibattito e la diffusione dei contenuti manifesta atti che portano al rischio di ricostituzione del partito fascista, il divieto può operare. Se invece si parla solamente di mera produzione e distribuzione di beni o immagini, simboli o persone, e penso ai libri o alle trasmissioni di ricostruzione storica, si colpirebbe la libertà di manifestazione del pensiero: occorre prudenza e capire se l’area dei reati che vogliamo mettere sotto la lente di ingrandimento non sia già coperta e contemplata dalle leggi in vigore.

Altro discorso è la possibilità di aggravare le pene esistenti, possibilità legittima, ma che non cambierebbe le fattispecie, la descrizione dei fatti che costituiscono reato. La entità delle pene è espressione di un apprezzamento politico che che rimane nella discrezionalità del Parlamento, entro i limiti della ragionevolezza.

La domanda vera da farsi è: come si difende la democrazia da chi vuole distruggerla conquistando il potere con metodi democratici? Sono temi da maneggiare con cura. La democrazia si nutre di convinzioni e non di sanzioni. E le convinzioni sui coltivano con la formazione, il dibattito pubblico, il rispetto dei valori democratici che sono un bene assoluto. La Costituzione non vieta di pensare, le idee non vengono colpite: possono sopravvivere. A essere colpita, ribadisco, è l’idea quando diventa o rischia di diventare struttura politica e si traduce in atti. Infine come fare i conti con la storia. Un esempio: la scritta dux sulla stele di marmo al Foro Italico va cancellata o abbattuto quel simbolo? Oppure è la testimonianza di un parte della storia con la quale, appunto, fare i conti? La cancelliamo o creiamo anticorpi per la memoria lasciandola lì? La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del 1948, ha come premessa l’orrore per le distruzioni e l’annientamento di intere popolazioni operate dal nazismo. Il giudizio sul fascismo è dato con nettezza dalla costituzione. Abbiamo degli anticorpi contro il totalitarismo. Bisogna mantenere vivo il dibattito, con un confronto anche con chi non riconosce quegli orrori, dobbiamo combatterlo non impedendogli di pensare ma ponendolo di fronte alle evidenze di fatti che contrastano con un elementare senso di umanità.

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