Alfano supera anche gli ultimi dubbi: «Io non ho paura ma, ora mi massacreranno»

Alfano supera anche gli ultimi dubbi: «Io non ho paura ma, ora mi massacreranno»
di Mario Ajello
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Sabato 16 Novembre 2013, 07:59
Il Senza Quid, come lo chiamava Berlusconi, ha sfidato il Drago e al momento lo ha battuto. Da delfino umiliato si trasformato.

Da delfino umiliato, Angelino si è trasformato di colpo - ma i segnali della svolta erano lampanti: prima taceva davanti al Re e poi ha preso a urlargli le sue ragioni sotto il naso, senza mai mancargli di rispetto - nel playmaker del nuovo centrodestra. L’Alfan Prodige, lo chiamano in queste ore. Trascorse in un viavai dentro e fuori dalla reggia berlusconiana a trattare senza retrocedere di un millimetro, fino alla rottura. «Ora so che mi massacreranno, e ci attaccheranno in tutti i modi ma non avremo paura e combatteremo per le nostre idee», è il suo proclama di guerra nella notte. E quando, dopo il divorzio, ha raggiunto le sue truppe riunite da ore all’ex monastero di Santa Chiara e già diventate un partito a parte, ha parlato loro con il cuore in mano come un generale sul campo: «Questa sera abbiamo un grande alleato. Ossia la buona coscienza di chi le ha provate tutte, prima di arrivare a questa scelta dolorosa». «E’ stato molto affettuoso con il capo», commenta il senatore Guido Viceconte, uno dei presenti e dei diversamente berlusconiani.



IL DIVERSAMENTE

L’Alfan Prodige, che anche qualcuno tra i suoi temeva che alla fine sarebbe arretrato davanti al vincolo di riconoscenza e non avrebbe mai osato una rivolta alla Spartaco, dopo lo strappo non infierisce. Anzi parla così nell’accampamento che verrà pesantemente preso di mira già nelle prossime ore: «Noi porteremo avanti i valori di Berlusconi, anche se in maniera diversa. I falchi si sono opposti ad ogni nostro tentativo di compromesso, senza capire che l’unico modo di salvare Berlusconi era quello di non lasciarlo nelle loro mani o in preda a reazioni istintive che non convengono alla sua causa e nemmeno a quella dell’Italia».



Fino a quel momento il bombardamento alfaneo, al netto delle pause diplomatiche, è andato avanti lungo tutta la giornata e i suoi cannoni sparavano dall’ex monastero di Santa Chiara verso Palazzo Grazioli e verso San Lorenzo in Lucina, quartier generale di falchi e pitonesse, dove Daniela Santanchè abituata a considerare «il povero Angelino» uno con «le palle di velluto» s’è dovuta ricredere sotto i colpi che l’Alfan Prodige menava a più non posso. Senza tradire però la sua natura democristiana e infatti fin dall’inizio di questa partita per il «nuovo centrodestra» ha giocato di sponda ma da lontano e sottilmente con il Quirinale, con Letta junior (chiedendogli di non intromettersi troppo nelle faccende di un partito non suo), con Letta senior colomba per eccellenza di cui si dice che «non ha mai avuto un pensiero spettinato» (il che è valso finora anche per Angelino, il quale oltretutto ha pochi capelli), con l’altro democristiano Schifani che è a sua volta un pezzo del cuore del Cavaliere, con la famiglia e con l’azienda berlusconiana (Marina e Confalonieri) e perfino, indirettamente, con i Pink Thank di Palazzo Grazioli: ovvero Francesca Pascale e Mariarosaria Rossi, che hanno sempre cercato di evitare l’epilogo che poi è arrivato. Non era uno «smidollato» Angelino, secondo Flavio Briatore? Non era uno che «si è messo a piangere quando Berlusconi lo ha sgridato dopo il 2 ottobre», secondo Ale Mussolini? Macché.



GIUDA E BADOGLIO

E neppure sembra più di riconoscere in Alfano - poi additato come Giuda, come Bruto, come Badoglio, come Martelli che tentò di «fare la festa» a Craxi - quel ragazzo spilungone a cui Silvio faceva fare le fotocopie («Quante ne hai fatte?») e che amava - prima di cominciare a chiamarlo «traditore» - perchè «mansueto e servizievole ma intelligente». Acuto fino al punto da capire al volo che, se tornava indietro, finiva nelle fauci di Verdini e della Pitonessa. E neppure l’esempio di Fini e il nomignolo Alfini lo ha fatto retrocedere di fronte a Fitto e agli altri nemici, agli avvocati del diavolo (Ghedini che lo chiamò per conto di Silvio alla vigilia del 2 ottobre: «Devi dimetterti dal governo»), ai rimproveri del padre padrone dopo lo strappo sulla fiducia: «Ora ti perdono, ma non lo fare mai più». Lo ha rifatto. Come prima, più di prima e, dal punto di vista berlusconiano, peggio di prima. Il Delfino ha travolto il Re. Ma ora ne dovrà temere l’ira.
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