Il mondo che verrà: nel 2050 l’Africa avrà il doppio
degli abitanti

di Antonio Golini
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Mercoledì 12 Agosto 2015, 23:55 - Ultimo aggiornamento: 13 Agosto, 00:19
L’Onu ha ridisegnato il mondo prossimo venturo, e anche quello un po’ più lontano. Sono uscite ieri le proiezioni della popolazione mondiale al 2050 e al 2100. Sono esercizi di estrema utilità per capire come cambia la geo-politica, per capire dove possono andare le popolazioni delle varie parti del mondo, o dove non dovrebbero andare se le proiezioni indicano percorsi demografici che sembrano essere non sostenibili. Una vera e propria rivoluzione è in atto: la popolazione mondiale, stimata oggi in 7,3 miliardi di persone, ci si aspetta che diventi al 2050 di 9,7 miliardi, per poi arrivare al 2100 a 11,2 miliardi, quasi 4 miliardi in più di oggi. Un intero nuovo pianeta da sostentare, da far lavorare, da istruire; un sfida enorme per la popolazione di oggi e per quella che verrà.

Una considerazione è subito necessaria: che affidabilità hanno proiezioni di così lunga gittata? Elevata è quella al 2050, di meno quella al 2100. Il fatto è che la misura del tempo per lo studio delle popolazioni è legata alla distanza fra una generazione e l’altra, cioè fra la generazione dei genitori e quella dei figli. Oggi questa distanza è di circa 30 anni; da qui al 2050 corrono 35 anni, cioè poco più dello spazio di una generazione, per i quali i giochi sono già quasi tutti fatti. Invece fino al 2100 corrono 3 generazioni che non sono pochissime e quindi le tendenze immaginate dagli studiosi coinvolti dall’Onu in questo tipo di analisi potrebbero effettivamente cambiare nel tempo.

È l’Africa il continente che crescerà di più, aspettandoci che la sua popolazione passi dagli 1,2 miliardi di persone attuali ai 2,5 del 2050 (e poi fino ai 4,4 del 2100). Da qui al 2050 una nuova Africa si aggiungerà a quella attuale, per cui ci possiamo aspettare che si pongano problemi particolarmente difficili e gravosi sia riguardo alla possibilità di sostentamento, sia riguardo alla creazione di un sufficiente numero di posti di lavoro, con particolare riferimento ad un aumento formidabile della pressione migratoria, sia riguardo alla questione ambientale, sia riguardo agli equilibri politici all’interno del continente e al suo esterno.

Per quest’ultimo aspetto c’è da considerare l’enorme investimento economico che nel continente ha fatto negli ultimi decenni la Cina che si accinge a diventare il punto di riferimento per lo sviluppo, non solo economico, ma anche sociale e culturale dell’Africa. Quanto alla pressione migratoria, in particolare quella dell’Africa sub-sahariana, c’è da ricordare che questo sub-continente a destra e a sinistra ha due oceani, impossibili da superare, mentre sopra ha un “piccolo” mare, il Mediterraneo, che per quanto periglioso, è superabile. C’è da immaginare perciò che il flusso di migranti verso l’Europa – un continente in contrazione di popolazione, dai 738 milioni di abitanti ai 707 del 2050 (nonostante si sia messa in conto una non trascurabile immigrazione, specie dall’Africa) – continuerà incessante e irrefrenabile per vari decenni a venire, se non cambieranno le condizioni di base. La più importante delle quali è che l’Europa giochi un ruolo importante e significativo nei confronti dell’Africa, in primo luogo favorendo l’Unione per il Mediterraneo sottoscritta da 47 Paesi euro-mediterranei, ma mai seriamente partita. Un forte sviluppo dell’Africa del Nord, servirebbe, fra l’altro, a drenare parte delle migrazioni provenienti dall’Africa sub-sahariana. Ma in prospettiva si può (si deve?) immaginare la costituzione di larghe Unioni euro-africane.

E i Paesi europei? Germania e Italia sono previsti in declino, più o meno accentuato, nonostante la non trascurabile immigrazione verso entrambi i Paesi, che si spera riesca a tenere in piedi la loro popolazione caratterizzata da un invecchiamento formidabile. L’Italia al 2050 dovrebbe avere la più alta proporzione al mondo di ultraottantenni, 15,6 per cento. Queste tendenze mettono in chiara difficoltà il nostro sistema socio-economico e quello di welfare, basato su una prima parte della vita dedicata alla formazione, una seconda parte dedicata alle attività produttive e riproduttive e una terza dedicata al pensionamento. Ritengo che con la rivoluzione demografica in atto, si dovranno immaginare solo due cicli di vita: quello della formazione e quello della vita adulta nella quale assolvere alla funzione produttiva e riproduttiva e poi, più avanti, continuamente finché lo si è in grado, alla funzione di dare assistenza alla popolazione anziana, per poi riceverla quando si perde l’autosufficienza.