Conosceva bene Giulio?
«Ero il suo supervisore, abbiamo avuto un paio di incontri per discutere il suo piano di ricerca, gli ho procurato un paio di contatti in Egitto e gli ho suggerito alcune letture. Non era un politico, era un “innocente”. Molto interessato a come la primavera araba avrebbe influenzato l’economia egiziana. Insegnava l’arabo. Era un giovane aperto e brillante. Non il tipo di studente che vuole rovesciare i governi. So che ha scritto su un foglio comunista, ma l’unico suo articolo che ho letto era piuttosto un rapporto fattuale sui sindacati indipendenti che erano l’oggetto della sua ricerca».
Lei ha firmato una lettera di accademici britannici per la verità su Giulio…
«Su quella lettera c’erano 4.600 firme, ma un gruppo di noi ha deciso di consegnarla formalmente all’ambasciatore egiziano a Londra. Ci accolse bene, ci disse di non saltare subito alle conclusioni, che è quello che noi professori diciamo ai nostri studenti, e ci rassicurò sul rigore dell’inchiesta. Ci disse pure che le autorità italiane erano pienamente coinvolte».
E voi?
«Gli ponemmo diversi interrogativi, soprattutto sulle persone incaricate delle indagini. Abbiamo poi mandato un report all’Ambasciatore d’Italia a Londra. Non mi arrendo, lo devo a Giulio. Continueremo a fare pressione per un’inchiesta indipendente».
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