Turismo d’imposta/Multinazionali, il privilegio si batte solo se uniti

di Romano Prodi
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- Ultimo aggiornamento: 31 Gennaio, 00:05
La Commissione Europea, per bocca del commissario agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici, ha finalmente presentato un pacchetto di proposte volte a rinforzare il sistema informativo sulle imprese multinazionali e, soprattutto, a combattere l’evasione fiscale delle imprese che emigrano verso i Paesi europei dove esistono sistemi tributari compiacenti.
L’obiettivo dell’armonizzazione fiscale, che l’Unione Europea si era posto oltre cinquant’anni fa, non è mai stato raggiunto. In primo luogo perché le imposte dirette sono sempre state considerate un capitolo di esclusiva competenza degli Stati membri e, soprattutto, perché ogni decisione in materia deve essere presa con il voto unanime di tutti i Paesi dell’Unione.
L’armonizzazione delle regole e delle aliquote è stata quindi sempre rinviata alle calende greche, provocando una concorrenza fiscale della quale hanno ovviamente approfittato soprattutto le nazioni più piccole che, abbassando le aliquote, possono attrarre un grandissimo numero di imprese e ricavare in questo modo cospicui guadagni. Questi trasferimenti verso i paradisi fiscali interni all’Unione sono diventati una valanga, tanto che il Parlamento Europeo ha stimato un livello di evasione fra i 50 e i 70 miliardi di euro. Una quantità di denaro davvero enorme, che si dirige soprattutto verso il Lussemburgo, l’Olanda e l’Irlanda e che produce danni equivalenti principalmente in Germania, Francia e Italia.

Questi ultimi Paesi hanno più volte tentato di spingere verso un’armonizzazione delle aliquote, resa tuttavia impossibile dalla già ricordata regola dell'unanimità. 
Negli ultimi anni il problema si è ulteriormente aggravato. In primo luogo per effetto della globalizzazione che ha aumentato il numero delle imprese multinazionali che hanno la mobilità nel proprio Dna e, in secondo luogo, per la diffusione dell’economia digitale che, attraverso la sua immaterialità, rende più facile il trasferimento dei profitti da nazione a nazione.

 
Questo secondo capitolo è diventato così imponente da consigliare ai giganti dell’economia digitale (come Google e Apple) di scendere a compromessi con le autorità fiscali dei diversi Paesi danneggiati (a partire proprio dall’Italia) in modo da attenuare la crescente tensione dell’opinione pubblica e le possibili azioni di ritorsione che i governi di questi Stati sarebbero stati di conseguenza spinti a prendere. 
Nella sostanza si tratta di violazioni di grande portata nei confronti di quel minimo rapporto di equità che deve legare i Paesi appartenenti alla medesima Unione. Una violazione che diventa ancora più grave nella prospettiva della costruzione dell’Unione bancaria perché essa (come ha recentemente messo in rilievo il professor Franco Gallo) presuppone necessariamente una cornice giuridica unitaria, cruciale per l’operatività delle banche: una cornice che dovrebbe riguardare non solo il diritto societario e fallimentare, ma anche il diritto tributario.
La nuova spinta della Commissione in questa direzione è perciò opportuna e viene nel momento giusto. Tuttavia le resistenze sono e saranno fortissime, a partire dal fatto che i negoziati sulle misure antievasione proposte dalla Commissione si svolgeranno sotto la presidenza olandese, cioè sotto la presidenza di un Paese che (come ha scritto il rappresentante dell’Ong Oxfam) «è esso stesso un paradiso fiscale». Il classico caso della volpe messa a guardia del pollaio.
Inizia quindi una battaglia difficile, nella quale occorre una forte unità di azione tra i Paesi danneggiati. Quanto all’Italia, il danno che deriva da questa situazione è cospicuo: si pensi che, in occasione delle analisi seguite al cosiddetto caso "Luxleak", si è reso palese che oltre trentacinque grandi imprese italiane hanno trasferito la loro sede legale in Lussemburgo. Si tratta ovviamente di decisioni forse giuridicamente ineccepibili ma tuttavia incompatibili con il funzionamento di un una unione economica. 

La decisione con cui la Commissione si è spinta verso l'obiettivo di una progressiva armonizzazione delle aliquote fiscali deve essere quindi accolta con favore perché, nonostante le enormi difficoltà descritte, questa è la direzione nella quale la nuova realtà ci spinge a camminare.
Riguardo all’Italia bisogna tuttavia aggiungere una postilla perché la fuga dal nostro Paese è dovuta in prevalenza alle motivazioni fiscali illustrate in precedenza, ma ad esse si aggiungono casi non infrequenti di esasperazione dovuti agli incerti e complicati rapporti esistenti tra le imprese e le numerose burocrazie competenti in materia fiscale. Fare chiarezza in questo campo non è compito delle autorità europee ma di quelle delle nostre autorità statali. 
Fortunatamente, per raggiungere quest'obiettivo, non occorre l’unanimità ma, semplicemente, un poco di buona volontà.
 
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