La posta in gioco/ Turchia, un voto che porterà nuovi equilibri

di Romano Prodi
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Domenica 24 Giugno 2018, 00:52
La giornata di oggi in Turchia non potrebbe essere più importante: si vota sia per eleggere il Parlamento che il Presidente della Repubblica. Si vota cioè sul futuro del Paese e, quindi, in particolare sul destino dell’uomo forte: il Presidente Recep Tayyip Erdogan. Nel 2002 quando Erdogan arrivò al potere in Turchia fu salutato da tutta la comunità internazionale come l’uomo che avrebbe completato il processo democratico di Ataturk.
Garantendo anche il contenimento della forza dell’esercito che in più occasioni aveva prevalso sulle istituzioni democratiche.
Nel suo programma era inoltre prevista un’apertura nei confronti della minoranza curda, una politica estera di alleanza con i Paesi vicini e un progressivo avvicinamento all’Unione Europea. A questo si aggiungeva un progetto di modernizzazione e di espansione dell’economia e un programma di poderose opere pubbliche. Si presentava quindi l’ipotesi di un lungo governo di un partito islamico moderato, democratico e moderno. 
Le elezioni di oggi si svolgono in un quadro molto lontano dalle speranze di allora. L’economia ha in effetti progredito in modo straordinario, le opere pubbliche e il boom edilizio hanno trasformato (forse anche troppo) il disegno del Paese ma sono venuti al pettine alcuni nodi sempre più pesanti e pericolosi.Dal punto di vista economico lo sviluppo si è, negli ultimi tempi, accompagnato ad un processo inflazionistico che ha causato una impressionante svalutazione della lira turca. Tutto ciò, da un lato, ha mantenuto elevate le esportazioni, ma ha pesantemente influito sul costo della vita e provocato crescenti scontenti: è anche per evitare che questi scontenti si tramutassero in ostilità politica che Erdogan ha voluto anticipare la data della consultazione elettorale. 
Con le elezioni di oggi la posta in gioco più importante non è tuttavia il futuro dell’economia ma della democrazia turca. In modo progressivo, ma soprattutto negli ultimi anni, la democrazia si è trasformata in autocrazia, mentre i buoni rapporti con i vicini si sono progressivamente deteriorati. 
L’obiettivo della politica estera turca non ha più avuto, come priorità, di vivere in pace coi vicini ma di diventare una grande potenza nell’area che si estende dai Balcani all’Asia Centrale, fino all’Africa passando naturalmente per il Medio Oriente. Una politica di autonomia e di ritorno alla gloria ottomana assai poco compatibile con il ruolo che la Turchia aveva sempre svolto nell’ambito della Nato. Questo processo è stato accompagnato da un progressivo avvicinamento alla Russia. Un’alleanza però che, in futuro, porterà molti problemi, data la difficile compatibilità degli interessi delle due potenze, sia nel Medio Oriente che nel Mediterraneo. 
La posta più importante in gioco oggi è tuttavia il futuro della democrazia turca. Il dominio di Erdogan sulla Turchia è sempre più forte e sempre più fuori dalle regole democratiche. Oltre cento giornalisti sono in carcere, centomila fra funzionari, professori e magistrati sono stati epurati e, tra questi, trentamila sono stati incarcerati. Le tensioni con i curdi si sono inasprite fino ad arrivare a continui conflitti. Non siamo perciò sorpresi che, in questo clima, la campagna elettorale abbia visto la figura di Erdogan monopolizzare tutti i media, dalla carta stampata alla televisione e ai social. 
Le previsioni sui risultati elettorali sono in prevalenza in favore di una vittoria di Erdogan, anche perché egli ha allargato il suo consenso appoggiandosi in modo crescente alla parte tradizionale della Turchia, più nostalgica del passato che fiduciosa nel futuro. Bisogna tuttavia prendere atto che, in questa contesa elettorale, le opposizioni, pur rimanendo ancora separate, hanno aperto un più costruttivo dialogo fra di loro. Nelle ultime settimane si è inoltre fatto strada un leader più credibile dei precedenti, un ex insegnante, devoto islamico ma anche profondo democratico, che risponde al nome Muharrem Ince, erede della memoria del vecchio partito di Ataturk.
Si potrebbe quindi arrivare ad una vittoria di Erdogan alle presidenziali e a una maggioranza delle opposizioni alle elezioni parlamentari, naturalmente a condizione che il Partito Curdo più rappresentativo ottenga almeno il 10% dei voti, pur essendo il suo leader ancora in prigione. Questo risultato, data l’ampiezza dei poteri presidenziali nelle decisioni politiche ed economiche, non cambierebbe radicalmente il ruolo assunto da Erdogan ma ne attenuerebbe certamente gli eccessi degli ultimi tempi. Un rapido ritorno alla normalità democratica non è però molto probabile, così come sembra essere ormai rinviata a tempi lontanissimi l’adesione della Turchia all’Unione Europea. 
È quindi opportuno seguire con molta attenzione quello che sta avvenendo oggi in Turchia perché da queste elezioni deriveranno conseguenze molto importanti non solo per il ruolo economico ma anche per le decisioni politiche e militari che questo grande paese Mediterraneo prenderà in futuro. 
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