Turchia, dagli 007 ai nazionalisti: ecco chi ha sventato il golpe

Turchia, dagli 007 ai nazionalisti: ecco chi ha sventato il golpe
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Lunedì 18 Luglio 2016, 09:49 - Ultimo aggiornamento: 10:50

ISTANBUL Nella notte del golpe, quando ancora ad Ankara veniva bombardato il Parlamento e a Istanbul si sparava sul ponte del Bosforo, sono stati i primi a dichiararlo fallito. Un auspicio e un messaggio alle folle, più che una certezza definitiva. Ma il giorno dopo, fa da prova della fedeltà dei servizi segreti turchi al presidente Tayyip Erdogan. Le responsabilità nel tentativo di colpo di stato, maturato in una frangia minoritaria dell'esercito, non sembrano averli sfiorati. Nel momento più difficile per il sultano, i vertici degli 007 turchi, insieme alla polizia, gli hanno fatto da scudo con armi e intelligence.
 

 


Una risorsa strategica su cui Erdogan ha costruito una fetta importante del suo controllo sulla Turchia. Amici che negli anni ha voluto tenersi sempre più stretti. Non a caso, quando il capo dei servizi Hakan Fidan, il custode dei suoi segreti, aveva provato a dimettersi per candidarsi alle elezioni del giugno 2015, lo ha costretto a una clamorosa marcia indietro. Nelle ore decisive, sarebbe stato proprio lui, insieme ad alcuni vertici della polizia, a coordinare le operazioni contro i golpisti.

L'APPOGGIO DEL POPOLO Plasticamente, l'altro scudo del sultano è stato il suo popolo. Un ruolo riconosciuto direttamente dal capo di stato maggiore, Hulusi Akar. Mentre lui era ostaggio degli insorti nella base militare di Akincilar, alle porte di Ankara, le folle islamiche nazionaliste hanno risposto all'appello via iPhone del presidente, riversandosi in strada contro i putschisti. «Il ruolo più grande nell'evitare questo atto di tradimento è del nostro onorato popolo», si legge nel primo comunicato delle Forze armate dopo il tentativo di rovesciare Erdogan, diffuso ieri sera. E sempre ieri, col calare del buio, è alle masse che lo hanno eletto e difeso che Erdogan si è rivolto per presidiare il Paese e scoraggiare eventuali rigurgiti golpisti: «Non lasceremo le piazze. Questa non è un'operazione che dura 12 ore».

LA STRATEGIA DI ERDOGAN Eppure, questo schieramento di fedelissimi, che va dalla strada al palazzo, difficilmente sarebbe bastato contro un colpo di stato pianificato meglio. All'arrivo di Erdogan al governo, nel marzo 2003, l'esercito turco aveva l'ultima parola sulle scelte decisive per il Paese. Secondo nella Nato solo a quello Usa, era lo storico custode dell'ordine laico imposto da Mustafa Kemal Ataturk. Negli anni, Erdogan lo ha rovesciato come un calzino, accusandolo di due maxi-piani eversivi, Ergenekon e Balyoz. Nei controversi processi che hanno portato all'arresto e alla destituzione di centinaia di militari kemalisti, compresi molti generali, un ruolo chiave hanno avuto i seguaci di Fethullah Gulen, allora alleato di Erdogan.

 

Messo da parte l'establishment tradizionale, l'unica presenza estranea rimasta nelle Forze Armate erano loro. Poche ore prima del golpe, riportano le cronache, si annunciava l'arresto imminente di almeno 1.700 militari e 400 civili gulenisti. Una concreta minaccia di decapitazione che, probabilmente, ha accelerato i piani di un progetto golpista a cui mancava ancora più di un tassello. È così che per la prima volta un colpo di stato militare è fallito in Turchia. Ma per la prima volta, l'esercito si è trovato di fronte un potere civile ancora più forte.

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