Tripoli, i nostri 007 già attivi: truppe d'élite pronte ai blitz

Tripoli, i nostri 007 già attivi: truppe d'élite pronte ai blitz
di Alberto Gentili
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Venerdì 4 Marzo 2016, 08:19
ROMA - «Ma quale guerra! La missione a guida italiana di stabilizzazione della Libia è una cosa, eventuali interventi spot anti-Isis un'altra. Serve prudenza, silenzio e serietà. La situazione è troppo delicata perché ci si lasci prendere da accelerazioni». Matteo Renzi, controvoglia e «senza alcuna intenzione di fughe in avanti», anche ieri con i ministri Gentiloni, Alfano, Pinotti e con i capi dei Servizi, ha affrontato il dossier libico.
Eppure, a dispetto degli appelli alla prudenza, la novità delle ultime ore è che a Tripoli sono già attive tre squadre, da 12 persone ciascuna, di nostri 007. E che molto presto queste tre squadre potrebbero coordinare l'impiego di una cinquantina di incursori del reggimento Col Moschin. Non per tentare la liberazione di Filippo Calcagno e Gino Pollicardo, i due operai della Bonatti superstiti: «Il nostro Paese non compie blitz, i rischi per la vita degli ostaggi sono eccessivi», dicono a palazzo Chigi. Ma per svolgere «operazioni omeopatiche terrestri, non convenzionali» contro i jihadisti dell'Isis.
«GUERRA OMEOPATICA»

L'aggettivazione «omeopatica» di queste missioni anti-terrorismo significa che i militari coordinati dai nostri Servizi, sotto la guida del capo del Dipartimento per le informazioni della sicurezza Giampiero Massolo e dietro ordine diretto di Renzi, compiranno eventualmente solo azioni «discrete, mirate, chirurgiche» anti-jihadisti. E che l'Italia non ha alcuna intenzione di schierare, al momento, «grandi numeri»: «Questo avverrà successivamente», spiega una fonte accreditata, «e avverrà quando a Tripoli sarà nato il governo di accordo nazionale e questo avrà formulato espressa richiesta all'Onu di aiuto per la stabilizzazione del Paese. Solo allora l'Italia guiderà la missione di peace enforcement», di “imposizione” della pace. «Già c'è il centro di coordinamento della Coalizione a Roma», ha rivelato il generale Donald Bolduc, comandante delle forze speciali Usa in Africa. E già si conoscono i reggimenti che verranno impiegati una volta ottenuto il via libera dell'Onu: dai tre ai cinquemila uomini appartenenti al Tuscania, alla Folgore e al San Marco, con compiti di supporto, addestramento e di difesa di ambasciate e pozzi petroliferi.
I TRE FATTORI

A spingere il governo italiano a valutare di anticipare l'impegno militare, sono tre fattori. Il primo: le pessime notizie che giungono dalla Libia. «Non ci lascia tranquilli», spiega Massolo al Tg1, «assistere alla creazione di basi e piattaforme territoriali dell'Isis» e di Ansar al Sharia legata ad Al Qaeda, «in zone così vicine» all'Italia. Dunque è in gioco, ormai, la sicurezza nazionale. Ed è di ieri l'allarmante report di Martin Kobler, l'inviato speciale dall'Onu: «L'Isis si sta espandendo in ogni direzione, dalla roccaforte di Sirte, approfittando del vuoto di potere».
Il secondo fattore è il pressing asfissiante di Washington che, dopo aver dato pieno sostegno alla guida italiana della missione di peace enforcement («appoggiamo Roma con forza», ha messo a verbale martedì il segretario alla Difesa Ash Carter), chiede all'Italia di darsi da fare «al pari degli altri alleati» per contrastare le milizie dell'Isis che, in fuga da Iraq e Siria, si stanno organizzando in Libia.
Il terzo fattore è l'attivismo «degli alleati». In particolare della Francia che da gennaio compie insieme all'Egitto raid aerei in Libia, ha già truppe d'élite attive a Bengasi, e si appresta a schierare la portaerei De Gaulle al largo delle coste libiche con a bordo aerei e gruppi combattenti. «Il nostro timore non è di essere scavalcati», dice un diplomatico che segue il dossier, «vogliamo però evitare di perdere posizioni e ruolo in vista della missione di pace».
LE NUOVE NORME

Di certo c'è che adesso anche l'Italia può intervenire. Con il decreto approvato il 10 febbraio sono stati definiti la linea di comando e le modalità operative per le missioni dirette dai Servizi. La guida è affidata all'Aise, il servizio segreto per la sicurezza esterna, sotto la supervisione del Dis di Massolo. Di volta in volta sarà il premier ad «autorizzare» l'impiego di forze speciali. I soldati impiegati avranno le garanzie funzionali degli 007: licenzia di uccidere e impunità penale. «Con il decreto», spiegano a palazzo Chigi, «è stata colmata una lacuna adeguando la legislazione italiana a quella dei nostri alleati. D'ora in poi, anche l'Italia potrà inviare truppe speciali con missioni d'intelligence. Ma ciò non vuol dire che scatteranno subito le operazioni sul terreno in Libia». «In ogni caso», aggiunge un'altra fonte, «c'è la piena legittimazione giuridica: il Consiglio di sicurezza dell'Onu, dopo le stragi di Parigi, ha varato una risoluzione che consente di colpire ovunque e in qualunque modo l'Isis».