Si tratta di un'escalation nel tentativo di far cadere il governo di Yingluck Shinawatra, col rischio di riportare alla luce tensioni politiche e sociali solo accantonate negli ultimi anni in una Thailandia sempre più spaccata. Guidati dall'ex vicepremier Thaugsuban, dimessosi da parlamentare per diventare a tutti gli effetti un capopopolo, alcune migliaia di manifestantiieri hanno fatto prima irruzione nel ministero delle Finanze, occupando l'edificio senza incontrare resistenza; dopo aver preso il controllo anche del dipartimento delle Pubbliche relazioni, in serata la folla ha invaso il complesso del ministero degli Esteri, imbastendo un bivacco all'esterno. Altre avanguardie di manifestanti hanno circondato altri palazzi del potere e dei media. Un fotoreporter tedesco, che documenta da anni le proteste in Thailandia, è stato malmenato dalla folla.
Già l'altro giorno il carismatico Suthep, invocando una «grande battaglia di tre giorni», aveva ribadito l'intenzione di paralizzare il governo. Ieri aveva minacciato di occupare tutti i ministeri entro oggi. L'obiettivo dichiarato è «lo sradicamento del regime Thaksin», in riferimento all'ex premier e fratello di Yingluck, che dall'auto-esilio in sostanza guida il governo sfuggendo a una condanna a due anni per corruzione ricevuta nel 2008. In serata, Yingluck (si pronuncia «iing-lak») ha attivato la «Legge di sicurezza interna», un provvedimento simile allo stato di emergenza.
Nel clima politico creato da quasi un mese di proteste, Suthep continua a provocare perché sa che una repressione alimenterebbe ancora di più la rabbia dei suoi fedeli. D'altro canto, l'inazione provocherebbe un'ingovernabilità altrettanto dannosa per Yingluck, che raccoglie i voti della classi medio-basse specie nel popoloso nord-est rurale. Per molti versi sembra una riedizione delle proteste del 2008: allora il movimento extraparlamentare delle «camicie gialle» occupò per mesi la sede del governo e infine per una settimana i due aeroporti della capitale, in protesta contro due governi filo-Thaksin.
I manifestanti - inizialmente scesi in piazza contro una legge di amnistia politica che avrebbe consentito il ritorno di Thaksin - hanno cambiato etichetta ma rimangono l'espressione dell'elettorato nazionalista e monarchico, formato dalla classe medio-alta di Bangkok e da attivisti del Sud, tradizionale feudo dei Democratici. L'opposizione, che dal 2001 ha subito pesanti sconfitte in tutte le cinque elezioni vinte da Thaksin, sa che un ritorno al voto non sposterebbe gli equilibri. L'intenzione, travestita sotto espressioni come «una democrazia sotto il re», sembra quella di coinvolgere l'influente esercito o l'establishment burocratico nella rimozione di Yingluck. Cinque anni fa l'impasse si sbloccò con un «colpo di stato giudiziario» e un ribaltone parlamentare orchestrato dalle forze armate. Ciò scatenò la rabbia delle «camicie rosse» filo-Thaksin, le cui proteste furono represse nel 2010 con 90 morti e 2 mila feriti.
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