Strage di Orlando, caccia ai complici: vittime uccise anche dal fuoco amico

Strage di Orlando, caccia ai complici: vittime uccise anche dal fuoco amico
di Anna Guaita
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Martedì 14 Giugno 2016, 08:03 - Ultimo aggiornamento: 16:52

NEW YORK Era freddo e calmo. La polizia aggiunge nuovi particolari che arricchiscono ma non completano il caotico quadro dell'attacco terrorista al club gay di Orlando. Il capo della polizia, John Mina spiega che Omar Mateen era entrato in contatto telefonico con le autorità durante le tre ore dell'assedio, nella notte di sabato, e ha detto che la sua voce era «fredda e calma». E tuttavia poco dopo nel locale esplodeva l'inferno, e lo stesso Mina non ha potuto escludere che alcune delle 49 vittime del peggiore massacro della storia Usa non siano cadute nel fuoco incrociato fra i nove uomini delle squadre speciali penetrati nella palazzina e il terrorista armato di un fucile Ar-15 e una pistola semiautomatica.
 

 


DINAMICA OSCURA
La dinamica dell'attentato dunque rimane ancora in parte oscura. Ma anche l'indagine aperta dall'Fbi dimostra che ci sono aspetti poco chiari in tutta la vicenda. Il direttore dell'Fbi, James Comey ha confermato che ci sono prove che il 29enne newyorchese figlio di immigrati afghani era stato radicalizzato, ma non ci sono indicazioni di un collegamento diretto con mandanti all'estero. Comey ha anche precisato che nel processo di avvicinamento all'estremismo Mateen aveva dimostrato una evidente «confusione» ideologica, abbracciando Al Qaeda, Hezbollah, Isis, tre gruppi nemici fra di loro, e usandoli quasi come copertura per la propria «ossessione contro gli omosessuali». Difatti la scelta dell'obiettivo, il club Pulse, un noto centro di aggregazione di giovani gay e transgender, non è stato casuale. Mateen aveva contattato altri club gay dell'area, chiedendo ai loro proprietari l'amicizia su FaceBook, quasi stesse studiandoli.

L'IDEOLOGO
Non può essere un caso che il 29enne stragista avesse fatto amicizia con un pericoloso predicatore, tale Marcus Robertson, noto oggi come Abu Taubah. Robertson è un 46enne ex marine diventato estremista, che si è fatto un bel po' di anni di carcere ed è passato all'Islam più intollerante. Uscito di prigione un anno fa, ha aperto un corso di Conoscenza fondamentale dell'Islam al quale Mateen si era iscritto. L'ex marine è stato a capo di una banda criminale a New York conosciuta come Alì Baba e i 40 ladroni, responsabile di rapine in banca, uffici postali e case, nonché di aver sparato a tre poliziotti. In quello stesso periodo le autorità federali ritengono che Robertson abbia fatto da guardia del corpo a Omar Abdel Rahman, lo sceicco cieco, che guidò il gruppo terroristico autore dell'attacco del 1993 contro le Torri Gemelle. E oggi Robertson-Taubah è particolarmente agguerrito e violento nella sua battaglia contro l'omosessualità.

L'OMOFOBIA
È possibile dunque che Mateen abbia scelto il club Pulse, proprio per dar sfogo alla propria viscerale omofobia, rincarata dalla lezione di Taubah. Sappiamo che grazie al suo lavoro come guardia di sicurezza- avrebbe potuto avere accesso ad esempio ai tribunali della contea, dove aveva servito come guardia, sicuramente locali più significativi per un terrorista che voglia colpire i simboli della democrazia americana. Grazie al proprio lavoro, Mateen ha anche potuto comprare il fucile Ar-15 e la pistola semiautomatica senza difficoltà, pochi giorni prima dell'attacco. Nel furgone che ha affittato per recarsi da Fort Pierce a Orlando è stata trovata anche una terza pistola. Nel descrivere le attività di Mateen, sia l'Fbi che il Dipartimento di Giustizia hanno deciso di non usare il suo nome, ma di descriverlo sempre come il killer: «Non vogliamo contribuire a creargli una perversa gloria» ha detto Comey.

UN AGO NEL PAGLIAIO
Ma il capo dell'Fbi ha riconosciuto che identificare questi casi di lupi solitari è difficile, perché è come cercare un ago nel pagliaio. E tuttavia ha anche dato un monito al Paese, chiedendo agli americani di non chiudersi a riccio, di non cedere alla paura, ma di vivere liberamente la propria vita.