Strage in California, gli investigatori: «Legami fra la coppia e l'Isis. La moglie di Farook aveva giurato fedeltà al califfo sul web»

Tashfeen Malik Farook
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Venerdì 4 Dicembre 2015, 16:54 - Ultimo aggiornamento: 5 Dicembre, 09:13

L'Isis ha rivendicato la strage di San Bernardino in California. Lo riferisce al Arabiya. La rivendicazione è giunta con un comunicato ufficiale attraverso Aamaq, il network di propaganda dello Stato islamico, nel quale si afferma che «due sostenitori» dell'Isis hanno compiuto la strage.

L'attacco, si afferma, «è arrivato dopo la dichiarazione degli americani che gli Usa non erano a rischio di attentati terroristici», e dopo i «sanguinosi attacchi» a Parigi e a Tunisi.

«È un atto di terrorismo». Lo ha detto l'Fbi in conferenza stampa in merito alla strage di San Bernardino. «Basandoci sulle informazioni e sui fatti che abbiamo ora in mano, stiamo indagando sui terribili eventi come un atto di terrorismo», ha detto Bowdich precisando che il Bureau ha il controllo sulle indagini. «Le prove raccolte indicano che la sparatoria è stata ampiamente pianificata», ha aggiunto.

Secondo quanto riferisce la Cnn, che cita fonti investigative, Tashfeen Malik avrebbe scritto un post su Facebook in cui ha espresso sostegno al leader dello Stato islamico, Abu Bakr al-Baghdadi.

Mentre era in corso l'attacco, la donna che ha preso parte alla strage assieme al marito, Syed Farook, ha postato su Facebook un giuramento di fedeltà al leader dell'Is, Abu Bakr Al-Baghdadi, rivelano ancora fonti citate dalla Cnn. L'account - precisano - rispondeva a un nome diverso da quello della donna.

Gli esplosivi trovati a casa della coppia responsabile della strage - riferisce ancora la Cbs che cita la polizia di San Bernardino - sono stati recuperati insieme a copie di istruzioni di come fabbricare una bomba prese probabilmente dalla rivista online di al Qaida "Inspire".

«Erano attrezzati e avrebbero potuto portare a termine un altro attacco», ha detto il capo della Polizia di San Bernardino, Jarrod Burguan, in merito ai 12 esplosivi e alle munizioni trovate a casa di Syed Rizwan Farook e della moglie, Tashfeen Malik, i due killer della carneficina nel centro per disabili.

A due giorni dalla strage, mentre gli inquirenti non hanno ancora trovato prove stringenti di un collegamento, o anche di un'ispirazione da parte di gruppi terroristici per Syed Farook e Tashfeeb Malik, scoppia la polemica per il "visto fidanzati" con cui la donna un anno fa entrò negli Stati Uniti. Si tratta infatti del cosiddetto K-1 visa che garantisce un visto di 90 giorni ai promessi sposi di cittadini americani.

Entrata con questo visto il 27 luglio 2014, 27enne di nazionalità Pakistan ma residente in Arabia Saudita negli anni precedenti al trasferimento negli Stati Uniti, la donna aveva poi fatto domanda per la green card il 30 settembre, dopo il matrimonio con Farook. Tashfeeb Malik aveva poi ottenuto il permesso di soggiorno permanente lo scorso settembre, trascorso quindi un anno per i controlli che vengono condotti da Fbi e dipartimento di Homeland Security.

Controlli che evidentemente non sono stati sufficienti, sostengono esponenti repubblicani che hanno subito collegato la vicenda alla questione del programma per accogliere 10mila rifugiati siriani che Barack Obama ha varato e il partito repubblicano sta cercando in tutti i modi di bloccare. Il senatore Ted Cruz, candidato alla Casa Bianca, ha scritto una lettera all'amministrazione Obama per chiedere che venga pubblicata la storia dell'ingresso negli Stati Uniti non solo di Malik, ma anche del marito e della sua famiglia.

Farook in effetti è cittadino americano di nascita, essendo nato in Illinois dopo che i genitori sono immigrati dal Pakistan. Secondo Cruz è necessario che la questione venga chiarita prima del voto al Senato della misura, già passata alla Camera, per fermare l'ingresso dei rifugiati siriani.

Nel rispondere alle polemiche, il dipartimento di Stato ha reso noto che tutte le persone che richiedono il visto K1 vengono sottoposti a un dettagliato controllo anche da parte delle autorità anti-terrorismo, basato anche sul controllo delle impronte digitali e l'utilizzo dei sistemi di riconoscimento facciale.

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