È nei Balcani che può nascere lo stato islamico dentro l’Europa

di Ennio Di Nolfo
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Sabato 26 Marzo 2016, 00:10
È probabile che pochi ricordino che negli anni Novanta del secolo scorso, quando era in corso la guerra civile tra la Nato e la Serbia, parallela alla crisi interna della Bosnia-Erzegovina, il disastro totale del gruppo etnico islamico (che in Bosnia era tuttavia pari al 50 per cento circa della popolazione) venne evitato grazie agli aiuti che questo gruppo ricevette dai Paesi correligionari del Medio Oriente. Questo aspetto dei precedenti storici non viene citato a caso ma, al contrario, va ricordato poiché esso rappresentava allora e rappresenta oggi uno dei temi più profondamente radicati nella vita balcanica.

Per secoli queste terre sono state dominate dall’Impero ottomano, che vi ha lasciato profonde tracce. Tra il 1992 e il 1995, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, queste regioni furono il teatro di violenti conflitti militari, prima limitati al rapporto tra la Serbia e la Nato, dal 1997 al 1999 riguardanti la provincia del Kosovo, che aveva proclamato la propria indipendenza dalla Serbia e che avrebbe pagato con una guerra crudele questa sua decisione. Non è nemmeno marginale tener conto della composizione per religioni di quei territori, poi diventati Stati indipendenti, e cioè il fatto che in Bosnia i musulmani di confessione sunnita erano quasi il 50 per cento della popolazione e gli altri erano serbi e croati di religione cristiana ortodossa o cattolica.
 
E il fatto che il Kosovo è popolato, secondo dati del 2015, dall’82 per cento di albanesi islamici e per l’11,1 per cento da serbi cristiani ortodossi. Come si collega questo punto di partenza con la situazione attuale è un tema del tutto aperto a ogni speculazione ma anche un tema che di giorno in giorno si pone in termini sempre più allarmanti per il mondo occidentale. Infatti, ora che l’Isis sembra in crisi dove essa ha messo le suo prime radici, in Siria e in Iraq e mentre l’estremismo islamico pare sull’orlo del tracollo in Nigeria e deve fronteggiare pressioni sempre più forti in Libia, gli uomini del Califfato tendono a muovere il centro delle loro iniziative dove essi incontrano meno ostacoli e questo centro sta divenendo o, forse, è già divenuto il territorio della Bosnia Erzegovina e del Kosovo.

I servizi segreti italiano e internazionale non ignorano che cellule terroristiche operano da tempo nella penisola balcanica. Sino a qualche tempo fa, l’azione di queste cellule si limitava alla creazione di gruppi di fanatici Foreign fighters, pronti ad accorre sul campo di battaglia. Oggi essa tende a diventare il punto di riferimento principale dell’azione dei terroristi islamici. E siccome la loro prossimità alle coste italiane e all’Europa balcanica non richiede spiegazione, sono sufficienti queste osservazioni per avere un’idea della gravità del rischio.

Di tutti i territori interessati a questa svolta, il Kosovo appare come il più importante per tre ragioni: a causa dell’assoluto predominio dell’etnia kosovara/islamica, a causa della prossimità all’Albania, il territorio balcanico più vicino all’Italia e a causa dell’insuccesso del progetto Eulex, che prevedeva schemi di aiuti volti a stabilizzare la situazione kosovara ma finito nel nulla. Contro questi pericoli da tempo le parti interessate hanno preso misure importanti. Hanno, per esempio, processato e condannato l’imam Husein Bosnic, detto Bilal, noto per aver proclamato, durante un suo soggiorno in Italia: «Il nostro obiettivo è fare in modo che anche il Vaticano sia Musulmano». A lui si deve, a quanto risulta dalle cronache, la creazione di una cellula fanatica, di ispirazione wahabbita, nella località di Gornja Moaca, dove di fatto è in vigore la sharia e dove da tempo si sono viste agitare le bandiere nere del Califfato.

Un reticolo di altre autorità religiose si estende però in tutta l’area, pronto a combattere, per ora, l’opposizione degli islamici moderati, come l’imam Osman Musliu, già aggredito per i suoi inviti alla moderazione. Tuttavia la situazione appare aggravata dal conferimento del mandato di guida della comunità islamica del Kosovo di un imam fondamentalista come Naim Tërnava. Segnali e sintomi per ora solo apparentemente isolati ma tali che, se considerati nel loro insieme, dovrebbero consigliare a tutti i servizi interessati una sorveglianza assai più serrata della distratta attenzione manifestata dai servizi del Belgio.
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