Usa, il Paese delle armi: un affare da 15 miliardi

Polizia a Las Vegas dopo la strage
di Anna Guaita
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Martedì 3 Ottobre 2017, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 08:18
NEW YORK L’America non è il solo Paese dove avvengono massacri. Ma è il solo Paese che si rifiuti di ridurre il numero di armi in circolazione. L’Australia viene spesso citata come esempio al quale gli Usa potrebbero ispirarsi: nel 1996 a Port Arthur un certo Martin Bryant sparò contro una folla di turisti uccidendone 35 e ferendone 23. Dopo di allora il governo adottò una procedura di “riacquisto forzato” delle armi nel Paese. Ne furono comprate - anche a prezzi salati - ben 650mila. E da allora l’Australia non è più finita sulle prime pagine per altri massacri. Ma l’idea di consegnare le proprie armi al governo federale fa inferocire gli americani, anzi è stato uno dei motivi per cui subito dopo l’elezione di Barack Obama la vendita di pistole e fucili è andata alle stelle. 

IL TENTATIVO
Molti americani temevano che il presidente “socialista e pacifista” avrebbe “confiscato” le armi e reso illegale possederne. Invece Obama non riuscì affatto a indurire le leggi contro le armi, neanche dopo l’atroce massacro di bambini alla scuola elementare di Sandy Hook nel 2012, dove il giovane squilibrato Adam Lanza uccise 20 ragazzini e sei adulti. Allora perfino il miliardario newyorchese Donald Trump, ancora lungi dal meditare una corsa per la Casa Bianca, dette a Obama il suo supporto. Ma non c’erano i voti in Congresso, perché la National Rifle Association aveva ottenuto che i suoi fedeli si opponessero a ogni limitazione. E così Obama dovette accontentarsi di un decreto con cui rendeva più difficile per persone sofferenti di disturbi mentali ottenere un’arma. 

IL DIETROFRONT
Interessante notare che lo scorso febbraio, oramai presidente, Trump ha cancellato quel decreto. Gli americani che amano le armi si appellano al secondo Emendamento, che garantisce il diritto di “portare armi”. Da decenni si discute se i Padri Fondatori scriverebbero l’emendamento nello stesso modo anche oggi, considerato che nel Settecento le armi erano i moschetti, oggi sono le armi d’assalto, come quelle che ha usato Stephen Paddock per realizzare il peggior massacro della storia Usa. Ma ricorsi su ricorsi alla Corte Suprema hanno confermato il diritto di possedere armi. 

GLI EQUILIBRI
Solo Bill Clinton riuscì a bloccare la vendita dei fucili d’assalto tipo ak-47. Il presidente nel 1994 accettò di passare una legge più severa sul crimine, ottenendo in cambio dai repubblicani il bando alla vendita di queste armi, per dieci anni. Quando i dieci anni giunsero alla fine, nel 2004, il presidente George Bush si guardò bene dal chiederne il rinnovo. Uno dei motivi per cui i politici sono titubanti non è solo il rispetto dell’emendamento della Costituzione. Dopotutto, davanti a più di 31mila morti all’anno per ferite da armi da fuoco sarebbe naturale voler correre ai ripari. Il fatto è che l’industria delle armi è una colonna dell’economia, con un giro d’affari di oltre 15 miliardi di dollari all’anno. Significativamente, ieri i titoli delle case produttrici di armi hanno registrato un balzo in alto. 

LA CORSA
La gente corre a comprare armi in casi del genere, perché teme che per reagire alla violenza, il Congresso ne limiterà le vendite. Ma si è visto che è un timore infondato poiché i politici temono troppo di inimicarsi la potentissima lobby che si incarna nella Nra, la National Rifle Association. Difatti anche insospettabili, come Bernie Sanders, alle volte si sono schierati contro restrizioni delle leggi. 

Si calcola che nel Paese ci siano fra i 270 e i 310 milioni di armi (incluso pistole, revolver, fucili, armi semiautomatiche d’assalto). Cioè quasi una per persona. Ma in realtà, solo il 34 per cento delle famiglie ammette di averne. E se in Stati come il Nevada le leggi sono permissive al massimo, se ci sono Stati in cui puoi girare con la fondina e la pistola al fianco come nel vecchio Far West, ce ne sono altri dove la gente scapperebbe davanti a una persona così armata. 

 
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