Quello spiraglio per l’ingresso di Ankara nella Ue

di Ennio Di Nolfo
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Domenica 20 Marzo 2016, 00:07
L’accordo raggiunto fra l’Unione Europea e la Turchia sulla questione dei rifugiati, e non solo su quella, smuove finalmente una situazione che pareva paralizzata.

Una situazione paralizzata dalle diffidenze e da una serie di questioni pratiche; esso apre invece la strada verso una fase nuova che non riguarda solo il tema dei rifugiati ma ha ripercussioni rispetto a tutti i temi della crisi mediorientale e alla possibilità concreta che la domanda di ammissione nell’Unione, presentata dalla Turchia nel 1987, venga finalmente discussa in modo costruttivo. Occorre infatti prendere le mosse da questo quadro più ampio per cogliere in termini più approfonditi il contesto nel quale l’accordo è stato possibile e la reticenza cipriota non si è fatta troppo sentire. Diventano allora evidenti i sintomi di un mutamento che, a dire il vero, pochi si aspettavano. Anzitutto la tregua iniziata il 27 febbraio tra l’esercito siriano e una parte delle frazioni ribelli sembra reggere; poi affiora con sempre maggiore chiarezza la disponibilità di Assad ad accettare una soluzione politico-elettorale della crisi; poi l’evidente crisi militare dell’autoproclamato Stato islamico, con la ritirata delle sue forze verso l’Africa settentrionale; infine la decisione di Putin di sospendere l’intervento russo, salvo la parte che esso svolge contro l’Isis. Una decisione sulle motivazioni della quale sarebbe possibile un lungo discorso, costellato da molte variabili, non ultima quella cecena.
 
Dalle aree di guerra, i rifugiati si sono riversati (e si riverseranno ancora per qualche tempo) sul territorio turco: la piattaforma ideale per raggiungere la Grecia ma anche il paese nel quale essi hanno trovato e trovano la più numerosa ospitalità, dato che le statistiche parlano di 2.700.000 rifugiati riparati in Turchia ponendo un problema di assistenza umanitaria e di sistemazione logistica che nessun paese, anche il più ricco, come la Germania, può sopportare da solo. Ma anche un problema dalle pesanti ripercussioni interne e internazionali. Per quanto riguarda la vita interna turca, l’arrivo dei siriani non poteva che acuire (data la contiguità territoriale ed etnica) il tema dei rapporti tra il governo di Ankara e la minoranza curda. Non poteva, in altri termini, che aggiungere momenti di crisi a una situazione già di per sé intricata e resa ancora più complessa dagli attentati dei quali alcune forze politiche curde sono stati gli autori.

Questa divisione interna non faceva che acuire la politica repressiva del presidente Erdogan, già naturalmente poco incline a seguire le regole della società civile come intese in Europa. Sul piano internazionale l’esito era quello di spingere la Turchia a riprendere un’antica tradizione diplomatica che suggeriva al governo di Istanbul prima e poi a quello di Ankara di accordarsi con la Russia per tutelare al meglio i propri interessi. Ma non è necessario un acume machiavellico per capire che questo rovesciamento di alleanze si sarebbe tradotto in una pesante sconfitta per la Nato e per l’Unione Europea tutta. La necessità di tener conto di questi rischi ha evidentemente avuto un peso notevole nell’indurre il Consiglio europeo a cercare con urgenza la strada del compromesso. Un compromesso che, senza entrare qui in molti particolari, l’Europa pagherà in misura consistente sia dal punto di vista finanziario come da quello politico. Infatti l’Unione si è impegnata a raddoppiare il contributo di tre milioni di euro, quando la prima tranche di aiuti sarà esaurita; e si è impegnata a delineare una politica di insediamenti umani e di scambi di rifugiati che dovrebbe rendere meno oneroso il peso economico già sopportato dal governo di Ankara ma, più ancora, potrebbe trasformare la Turchia in un grande serbatoio grazie al quale gli esuli troverebbero asilo e i trasferimenti verso la Grecia verrebbero limitati.

E’ sufficiente seguire le cronache della giornate che i rifugiati trascorrono sul territorio greco, dopo essere stati privati della speranza di risalire la penisola balcanica per raggiungere la Germania, per comprendere come nuovi allarmanti scenari si aprissero verso l’Albania, le Puglie e la Spagna. Questa è un’ipotesi che l’accordo non elimina ma quanto meno allontana.

 
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