Si potrebbero raccontare tante storie, dove il coraggio e il dolore di decine, centinaia, forse migliaia, di donne si mescolano insieme in un groviglio difficile. Una di queste storie ci parla di Dahrio (non è il suo vero nome), moglie e madre di tre bambini, che ora vive in un campo di Mogadiscio, la capitale del paese, dopo tre lunghi anni di sofferenza e umiliazioni: il marito, poliziotto, la terrorizzava, a volte la picchiava, altre volte la colpiva al volto, quel volto che ora le sue compagne vedono sorridere, che mostra una donna forte e felice, una donna che ha trovato la determinazione di reagire. Per farlo, “My Plan” è stato un aiuto fondamentale.
L’aspetto più ostinato da combattere riguarda il giudizio che si da' nella cultura somala alle botte del marito: una pratica accettata, contro cui la ribellione viene ritenuta ancor più grave della violenza stessa. “Molte donne sopportano le sopraffazioni perpetrate fra le mura domestiche, comprese aggressioni fisiche e psicologiche, e spesso restano a vivere con i propri mariti come conseguenza di credenze culturali che impongono loro comportamenti remissivi e sottomessi” si legge in un rapporto dell’Onu sulle violenze di genere commesse in Somalia. Nel documento, tra le altre cose, si fa notare che “la perdita dei figli in caso di divorzio gioca un ruolo fondamentale nell’orientarsi verso questa decisione”.
Nel 2015 il paese ha varato alcune leggi che aumentano le pene per odiosi reati come la violenza sessuale di gruppo e il traffico di esseri umani, ma altri crimini (denunciano gli attivisti) non sono stati toccati, come appunto la violenza domestica e lo stupro da parte del marito. Per non parlare di altri fronti su cui si è chiamati a combattere, in primis quello delle mutilazioni genitali e della ripugnante pratica dell’infibulazione. La battaglia più dura da vincere riguarda le convinzioni sociali e le usanze culturali e forse una sola legge non basta. Ma il contributo di un’app, a volte, può essere determinante.