Il fenomeno non è nuovo: già dall'anno scorso erano emersi scioccanti notizie di giovani siriane rinchiuse nei campi profughi giordani, turchi e iracheni vendute a uomini di diversi Paesi arabi, in particolare dell'area del Golfo. Le denunce riguardavano anche casi di violenze e molestie sessuali persino su ragazzine di dodici e tredici anni. La pagina Facebook «Rifugiate siriane da sposare» è stata chiusa solo oggi dopo la protesta di centinaia di attivisti e avvocati per i diritti umani. Ma dal 17 al 21 maggio aveva raccolto migliaia di seguaci: molti solo curiosi, ma molti altri veri e propri clienti interessati alla merce esposta senza troppi veli. Alcuni post mostravano la foto della donna «in cerca di marito» con un breve profilo circa la castità e la bravura nei lavori domestici. Ma la pagina era solo una vetrina: per entrare nel negozio, l'interessato doveva spedire una email di riferimento e cominciare a negoziare.
Secondo l'organizzazione non governativa araba Kafa, che ha più volte denunciato in passato il fenomeno, i clienti provengono per lo più da Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, ma non mancano aspiranti mariti tunisini, marocchini, egiziani, algerini, yemeniti e del Bahrain. E rispondono ad annunci tipo: «Abbiamo ragazze rifugiate di tutte le età e di tutte le confessioni». In un clima di crescente polarizzazione confessionale, il servizio cerca di soddisfare tutte le richieste: per sunniti, sciiti e cristiani. «Vi potete sposare legalmente o segretamente», si legge nella descrizione della pagina Facebook. Come raccontano attivisti siriani del gruppo «Rifugiate, non schiave», in Giordania, dove centinaia di migliaia di profughi siriani sono assiepati nei principali centri urbani e nei campi profughi del nord, sui giornali locali si leggono numerosi annunci per la prostituzione di donne siriane e arabe in generale.
Il fenomeno è diffuso anche in Libano, dove non ci sono campi profughi ufficiali ma dove più di un milione sono i siriani scappati dal loro Paese. Non ci sono solo gruppi criminali dietro questo traffico di esseri umani: spesso sono coinvolti gli stessi familiari delle vittime, a volte «incoraggiati» da organizzazioni non governative locali che distribuiscono aiuti umanitari nei campi e che hanno accesso ai casi più disperati. Testimonianze provenienti dal Kurdistan iracheno e dalla Giordania raccontano di «donne siriane vendute persino in moschea», dopo trattative tra i genitori e dei sensali. Il mediatore, ma spesso la mediatrice, intasca almeno 50 euro per organizzare l'incontro. E se tra i due «c'è intesa», la commissione, su un prezzo di tremila euro, è di circa il 10 per cento. I matrimoni la maggior parte delle volte sono solo un espediente per «consumare» in fretta il piacere di deflorare una ragazza. Il divorzio è spesso deciso dopo pochi giorni e tutto avviene in maniera «legale». E, soprattutto, senza che la vittima possa denunciare lo sfruttamento ed esporsi così a un'ulteriore umiliazione sociale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA