Sui muri di Sirte le minacce a Roma. Tripoli in crisi vacilla il governo

Sui muri di Sirte le minacce a Roma. Tripoli in crisi vacilla il governo
di Fabio Morabito
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Sabato 13 Agosto 2016, 12:19 - Ultimo aggiornamento: 17:53

C'è una scritta sui muri di Sirte, che le brigate libiche impegnate a liberare la città dall'Isis hanno fotografato e postato sui social network, facendola così conoscere al mondo. Una scritta che dà della città una definizione che sembra una minaccia, anche se spuntata dal provvisorio esito dei combattimenti ancora in corso: «Porto marittimo dello Stato islamico, punto di partenza verso Roma, con il permesso di Dio». Una scritta in grandi caratteri neri, forse solo un desiderio e non un progetto, ma che suggerisce di quanto i destini della guerra coinvolgano anche noi, dirimpettai nel Mediterraneo.

IL CONTROLLO SULLE COSTE
I bollettini dell'assalto a Sirte diffusi dalle milizie filogovernative (soprattutto soldati di Misurata) raccontano di una vittoria a un passo, con le ultime bandiere nere ammainate dai palazzi. «L'Isis a Sirte è accerchiato per mare e per terra: tutte le vie di fuga sono chiuse» annuncia il generale Mohamed al Ghasri, portavoce delle milizie. «I guardiacoste sono dispiegati sul litorale», aggiunge. I «jihadisti sono al collasso» e i quartieri dove si sono arroccati sono circondati. Non tutto è semplice, ammette però Al Ghasri: «Nel quartiere 2 ci sono mine e ordigni camuffati, ma anche decine di corpi, armi e auto dell'Isis». E se i raid statunitensi non si fermano (sono già 41 da quando sono cominciati, il primo agosto, come riferisce il Pentagono) la battaglia ora è casa per casa. «La lotta deve essere condotta dai libici e realizzata cono truppe di terra - ha insistito ieri il diplomatico tedesco Martin Kobler, inviato Onu per la crisi libica i raid aerei non possono sconfiggere l'Isis».
 
Sono state smantellate le recinzioni dove lo Stato islamico legava le sue vittime (sventurati decapitati e uccisi, esposti in pubblico per terrorizzare la popolazione); la maggior parte dei civili ha lasciato la città, in un esodo che vede infrastrutture e palazzi abbandonati; l'ultima battaglia è resa sanguinosa dalla resistenza dei jihadisti, con mine antiuomo e cecchini che sparano dai tetti delle case.

Ma pensare che la liberazione di Sirte risolva il dramma della Libia è un'illusione. Un pensiero che non ha sfiorato Washington, che ha deciso di bombardare Sirte per contrastare l'Isis, non per pacificare il Paese. Ancora Kobler, parlando con il quotidiano svizzero Neue Zuercher Zeitung, osserva che la popolarità del primo ministro del governo di Consenso nazionale, Fayez al Serray, «si sta sgretolando» nonostante i parziali successi a Sirte. Questo per le difficoltà economiche che strangolano il Paese, a cominciare dai continui blackout (ora i libici dispongono di meno ore giornaliere di energia elettrica) e dalla violenta svalutazione della moneta che rende molto costose le importazioni di materie prime.

LA LINEA DI PALAZZO CHIGI
In questo quadro si complica la scommessa italiana sul governo guidato da Serraj, sostenuto anche dagli Stati Uniti (dopo qualche indecisione), mentre invece la Francia parteggia apertamente (almeno dal luglio scorso, quando ha dovuto confermare l'uccisione di tre suoi militari su quel fronte) per il governo di Tobruk e il controverso generale Khalfa Belqsim Haftar. E Tobruk non ha ancora votato per il governo di Consenso nazionale.

È singolare (ma assolutamente frequente) che due Paesi fondatori dell'Unione europea divergano profondamente in politica estera. Ma ci sono interessi economici potenti, e se l'Italia rivendica - storicamente e geograficamente - un rapporto privilegiato con Tripoli, la Francia che con Nicolas Sarkozy all'Eliseo volle rovesciare il dittatore Mu'ammar Gheddafi, provocando il caos, è la nostra principale rivale sui mercati libici. Eppure ci dovrebbe essere, almeno in questi tempi in cui l'Europa fa i conti con il terrorismo, un interesse comune nella pace. Ma una Libia pacificata per ora è un sogno, e un sogno lontano.