Lo scenario/ Con Egitto e Algeria si batte il Califfato

di Carlo Jean
3 Minuti di Lettura
Lunedì 17 Agosto 2015, 23:12 - Ultimo aggiornamento: 23:57
Dopo il massacro dell’Isis a Sirte la richiesta di una riunione della Lega Araba ha lasciato soddisfatta almeno una persona. Si tratta del ministro degli esteri francese Laurent Fabius, che dall’agosto dello scorso anno invita a chiamare lo Stato Islamico con il suo acronimo arabo “Daesh”, in cui non figura il termine Stato e non compare neppure esplicitamente il termine islamico.



Il nostro ministro degli esteri Gentiloni ha chiamato Daesh l’Isis di Sirte. Non si tratta solo di una sottile questione di semantica. Lo Stato Islamico non è uno Stato. Ne possiede però molte caratteristiche. È un “proto-Stato”, con un potere centrale sovrapposto a quello delle tribù.



La sua strategia comunicativa è volta a terrorizzare gli avversari, a mantenere l’obbedienza della popolazione e ad attirare il reclutamento di giovani, affascinati dalla violenza e dalla “teologia della morte”. Molti giovani libici erano andati volontari in Siria per combattere Assad, inquadrati nella brigata Battar.



Circa 600 erano tornati a Derna nell’estate del 2014. Nel settembre avevano dichiarato la loro sottomissione al Califfo. Quest’ultimo aveva inviato a Derna un emiro saudita e uno specialista yemenita di comunicazione. La diffusione in Libia di Daesh è stata molto rapida.







Ha approfittato del caos esistente in un paese in cui vi sono due parlamenti e due governi, anche se il potere di fatto è nelle mani di qualche centinaio di milizie locali o tribali. Daesh ha attirato molti miliziani già attivi in formazioni jihadiste e, sembra, taluni ex-ufficiali di Gheddafi.



Si è rapidamente scontrato con milizie che fanno capo ad al-Qaeda, con quelle di Bengasi e di Misurata e con quanto resta delle forze più o meno regolari libiche dei governi di Tobruk e di Tripoli.



Cacciato da Derna da forze islamiste e in difficoltà a Bengasi, dove combatte contro il governo di Tobruk, Daesh a Sirte ha avuto la meglio prima sulle milizie di Misurata e nella scorsa settimana su locali milizie islamiste, appoggiate da civili armati. Le prime si erano rivoltate per l’uccisione di uno stimato capo religioso.



I secondi per il regime di terrore imposto alla popolazione. Dodici miliziani locali, fatti prigionieri sono stati decapitati e poi crocifissi. Tale atto di barbarie ha suscitato la reazione del governo di Tobruk, che ha chiesto alla Lega Araba di riunirsi, pur senza richiedere un suo intervento armato.



L’azione di Daesh è stata condannata da Usa, Uk, Francia, Germania, Spagna e Italia. Le “grandi potenze” si sono però limitate ad auspicare una rapida conclusione dei negoziati, sponsorizzati dall’Onu, per la costituzione di un governo di unità nazionale. Una volta che ci sarà, le “grandi potenze” chiederanno nuovamente all’Onu di poter intervenire militarmente.



La Russia porrà il proprio veto. Le cose rimarranno come prima, a meno che le “grandi potenze” si ricordino di essere tali e intervengano comunque. La conclusione è amara. Solo l’Egitto e l’Algeria possono toglierci dall’impaccio e distruggere i miliziani del Califfo in Libia.



Il timore che si prendano il petrolio, potrebbe convincere Tobruk e Tripoli a combattere Daesh, anziché tenerlo in riserva per combattersi fra loro.
Per il momento, invece d’interventi militari, prepariamoci quindi a nuove condanne.