Salvare Atene e rifondare questa Europa alla tedesca

di Stefano Cappellini
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Mercoledì 8 Luglio 2015, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 00:10
Il rischio che l’Unione Europea imploda sotto il peso dei nazionalismi è concreto e innegabile. Bisognerebbe però mettersi d’accordo su un censimento completo e obiettivo di queste istanze nazionaliste: chi rimprovera alla Grecia di essersi rifugiata nella trincea del plebiscitarismo demagogico, ammesso e non concesso che ciò sia vero, dovrebbe almeno avere l'onestà intellettuale di riconoscere che non c’è meno nazionalismo nella pretesa della Germania di perpetuare una governance finanziaria e monetaria della Ue tutta tarata sulle esigenze della propria economia.



Torna drammatico e irrisolto il problema di un’Europa unita dalla moneta ma priva di istituzioni realmente comuni, con una Commissione ottusamente applicata al rispetto di vincoli dogmatici mentre la risoluzione delle controversie è affidata al peso dei singoli Stati, come spudoratamente dimostra la sequela di vertici ristretti franco-tedeschi che precedono o del tutto sostituiscono quelli ufficiali nei momenti di crisi: dopo il vertice a due di ieri, Angela Merkel e François Hollande hanno fatto il bis ieri, incontrando separatamente Alexis Tsipras. Ma una vicenda come quella greca, da cui dipende il destino di tutta l’Unione, non può essere affrontata come fosse un braccio di ferro tra nazioni, magari rappresentato come uno scontro tra Paesi virtuosi e viziosi (i greci erano meno viziosi quando si indebitavano con le banche tedesche per importare le merci della Germania contribuendo alle straordinarie performance dell'export di Berlino?).



Al contrario, bisognerebbe risolvere al più presto il caso Grecia proprio per dedicare tutti gli sforzi alla costruzione di un’architettura che garantisca un futuro al sogno della casa comune europea.



Servirebbe la politica. Non quella dei capi di Stato e di governo che si abbeverano ai sondaggi di casa, preoccupati solo che l'opinione pubblica nazionale si compiaccia delle loro performance scioviniste a Bruxelles. Servirebbe anche e soprattutto la politica delle grandi opzioni, delle strategie di lungo periodo alle quali è spesso più restio chi è in carica al governo, proiettato sulle scadenze elettorali interne, ma che dovrebbero essere in cima all'agenda delle forze politiche europee rappresentate nell'Europarlamento, espressione della sovranità popolare continentale.



Peccato che i due principali partiti – i socialisti del Pse e i popolari del Ppe – siano la perfetta rappresentazione della disunità, due gusci vuoti, tanto efficienti nel lottizzare cariche e prebende quanto imbelli davanti ai problemi che affliggono i loro rappresentati. La destra europea, ormai incalzata da movimenti che riemergono dalle pagine più buie della storia, non esiste: si esaurisce nell'egemonia della Germania di Angela Merkel, nel volto tecnocratico di Jean-Claude Juncker e nelle aspirazioni isolazioniste di David Cameron. A sinistra, nel Pse, è anche peggio. A Tsipras viene rimproverato di cavalcare gli argomenti della sinistra più radicale e populista, ma almeno il premier greco una linea politica per quanto discussa ce l'ha. Quella del Pse dov'è?



I socialdemocratici tedeschi sono spesso e volentieri su posizioni più oltranziste della Cdu. E anche quelle forze che, a parole, hanno invocato una fuoriuscita dai canoni dell’austerity si sono fermate ai proclami. I socialisti francesi, insediati all'Eliseo, non chiedono di meglio che continuare a staccare la cedola di secondo azionista della Ue a trazione tedesca. Gli spagnoli devono difendersi dal sorpasso di Podemos, che rischia di mandarli a fare compagnia ai greci del Pasok annichiliti da Syriza. Il Pd di Matteo Renzi, ultimo arrivato nella famiglia, si barcamena tra la tentazione di un fronte anti-rigore e la realpolitik di alleanze necessaria per un Paese che rischia di pagare più di altri gli errori sul caso Grecia.



Resta, dietro la latitanza della politica, solo la voce di una euroburocrazia che fa capo a Berlino e che spinge masse sempre più ampie di elettori verso forze che l'Europa non vogliono riformarla, ma abolirla. Se non cambiano queste premesse, una soluzione vera per la crisi greca non ci sarà. L'Europa degli Stati-nazione può solo trascinarsi nello stallo assoluto oppure uscirne con l'umiliazione di un Paese membro, come la Grecia. In entrambi i casi, l'esito sarà lo sfascio di ogni prospettiva comune.