Regeni, le troppe versioni/ Il rispetto che dobbiamo pretendere

di Alessandro Campi
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Sabato 26 Marzo 2016, 00:10
È difficile, se non impossibile, per un governo accusare un altro governo - per di più politicamente amico - di mentire spudoratamente o addirittura di essere coinvolto, attraverso i suoi apparati di polizia, in un efferato caso di omicidio. Come si fa a dire apertamente una cosa del genere senza arrivare ad una rottura diplomatica o innescare una pericolosa crisi internazionale? Laddove sarebbe richiesto il massimo dell’intransigenza si è invece costretti al massimo della cautela, col rischio di dover sacrificare i propri convincimenti morali al calcolo delle convenienze.

Purtroppo è esattamente questa la sgradevole situazione nella quale si trova l’Italia dinnanzi all’Egitto con riferimento al rapimento e all’uccisione di Giulio Regeni. Nessuno dubita che il ricercatore italiano sia stato fermato, torturato per giorni e infine abbandonato cadavere in un fosso per ragioni in senso lato politiche. Forse lo si credeva un informatore o un infiltrato al servizio di chissà chi, forse lo si credeva un sostenitore dei gruppi e movimenti che si oppongono al regime militare di Al Sisi, forse si è trattato soltanto di un tragico equivoco che ha portato a scambiare un ricercatore universitario impegnato in interviste e indagini sul campo per un agente sotto copertura o per un militante politico. Non lo sapremo mai. Quello che appare certo - e lo è stato sin dall’inizio di questa orrenda storia - è che nella morte di Regeni, non foss’altro per le modalità della sua sparizione e per il modo con cui è stato scientificamente sottoposto a sevizie e brutalità, nulla c’entra la delinquenza comune o la vendetta personale o chissà quale altro torbido movente (il sesso, la droga, le amicizie sbagliate), come si è penosamente cercato di far credere nei primi giorni da parte delle autorità egiziane.
 
L’Italia, scioccata da un episodio tanto violento, ha fatto sin dall’inizio quel che doveva e poteva in una simile circostanza: ha chiesto ad alta voce - proprio in virtù dei rapporti di collaborazione che esistono tra i due Paesi, segnatamente sul versante della lotta al terrorismo, per non parlare degli accordi in materia energetica - indagini approfondite, l’accertamento dei fatti e la punizione dei colpevoli una volta scoperti. Aggiungendo che non si sarebbe accontentata di verità di comodo o di manipolazioni della medesima.

Il problema è che, dopo molte pressioni e insistenze, i responsabili ci sono stati finalmente forniti, ancorché cadaveri e dunque non in condizione di poter essere interrogati e processati. È stata ufficializzata la pista della criminalità di strada e definitivamente negata quella politica che avrebbe condotto, se accettata, all’attività repressiva degli apparati di sicurezza egiziani e dunque alle responsabilità, per quanto indirette, delle autorità governative. Una banda di malfattori avrebbe dunque provato a sequestrare e rapinare Regeni per ragioni di soldi. E dinnanzi alla sua resistenza lo avrebbe barbaramente ucciso. Le prove a sostegno di questa versione - esibite letteralmente su un piatto d’argento a beneficio della stampa - sono i documenti e gli effetti personali di Regeni ritrovati in casa di uno dei famigliari dei malviventi uccisi. Ma ci sarebbe anche la confessione del parente di uno dei colpevoli a sostenere la bontà di questa versione.

Il problema a questo punto è come comportarsi, dal punto di vista del governo italiano, dinnanzi ad una messa in scena non solo assurda, ma tragicamente macabra, visto che per renderla credibile sono state uccise almeno cinque persone. Senz’altro criminali comuni, magari persino sgozzatori abituali, ma una simile strage - ancorché non di innocenti - pur di creare una verità ufficiale e definitiva, in grado di chiudere il caso, lascia davvero basiti. E pone appunto la questione di come e cosa replicare a livello politico-diplomatico.

Le opposizioni ieri hanno criticato il governo italiano per l’atteggiamento tiepidamente dubbioso mostrato da quest’ultimo dopo che si è diffusa la notizia che erano stati individuati ed eliminati i responsabili della morte di Regeni. Dinnanzi ad un simile oltraggio alla verità e alla memoria, così grossolanamente e persino offensivamente costruito dopo settimane di depistamenti deliberati, da più parti si è detto che bisognava alzare la voce, al massimo livello dello Stato italiano, ancora più che nel recente passato.

Ma fino a che punto, in nome della verità, si può polemizzare apertamente con un governo con il quale, per ragioni geopolitiche e di equilibri internazionali, siamo legati da rapporti di collaborazione sempre più stretti? L’Egitto è assai esposto sul fronte della lotta contro il terrorismo islamista (e fa spesso, in questa lotta, il lavoro sporco che i Paesi occidentali, a partire dal nostro, non vogliono e non possono fare), gioca un ruolo importante nel processo di stabilizzazione della Libia e opera da bilanciamento, all’interno del mondo musulmano, nei confronti di quei Paesi (dalla Turchia all’Iran) che, sempre dal punto di vista occidentale, avanzano pericolose ambizioni egemoniche nell’area mediorientale. L’Italia, per quanto sia stata gravemente offesa attraverso la morte di un suo cittadino, può ignorare tutto questo?

E d’altro canto, pur non considerando i vincoli della realpolitik, che senso ha chiedere lealtà e trasparenza, quanto vale invocare il rispetto dei diritti umani e il senso di umanità, quando - amico o nemico che sia - si ha a che fare con un regime dittatoriale e illiberale, che per definizione si regge sulla violenza, sulla menzogna, sulla repressione del dissenso e sulla manipolazione? Quale giustizia ci si può aspettare per uno straniero da un Paese che non la garantisce nemmeno ai suoi cittadini? Chiedere la verità ad un Paese come l’Egitto odierno, sapendo come e perché si è giunti all’instaurazione dell’attuale regime, è solo ingenuo o nasconde un’ipocrisia travestita da indignazione?

Il governo italiano è tornato a chiedere con forza una versione dei fatti più credibile. La nostra magistratura dal canto suo continuerà a cercare i veri responsabili di quest’assassinio, per quanto lo si possa fare a distanza e senza alcun aiuto da parte delle autorità egiziane. Ma se queste ultime hanno deciso di consegnarci una verità di comodo, per quanto assurda, ci resta davvero poco da fare. Dopo la messa in scena di ieri, costruita a tavolino da un qualche burocrate privo non solo di senso morale, ma anche d’intelligenza e di fantasia, si può immaginare che l’Egitto di Al Sisi cambi nuovamente idea? La verità, si spera, un giorno lontano verrà fuori. Ma per il momento dobbiamo solo tenerci la nostra rabbia, il nostro disgusto e la nostra cattiva coscienza politica.
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