Regeni, i dubbi italiani sui testimoni del Cairo. «Resoconti non credibili»

Regeni, i dubbi italiani sui testimoni del Cairo. «Resoconti non credibili»
di Valentina Errante
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Lunedì 15 Febbraio 2016, 07:55 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 00:40

A fare pensare all'ennesimo depistaggio è l'incompatibilità delle informazioni con le poche certezze in mano agli investigatori italiani. Perché il ”supertestimone”, annunciato dal Nyt, in ambasciata, ha raccontato a Ros e Sco di avere visto Giulio Regeni caricato da due agenti il 25 febbraio alle 17.30, circostanza incompatibile con le chiamate e con l'ultimo messaggio via Facebook inviato alle 20,41 dal ricercatore italiano alla fidanzata. E sembra strano che in un regime un mitomane rischi la vita accusando la polizia.

Il mistero della morte di Regeni non si consuma soltanto tra le 19,41 del 25 gennaio e il 3 febbraio, quando il corpo viene ritrovato straziato. Perché altrettanto oscuro è quanto accade, e continua ad accadere, nei giorni e nelle settimane successive. Per la scarsa collaborazione delle autorità egiziane, immediatamente evidente, e per gli articoli molto pesanti pubblicati sul Nyt, che accusano la polizia, fornendo testimonianze che convincono poco. Forse il lavoro di Giulio, che collaborava con l'Auc (American university del Cairo), potrebbe essere stato utilizzato per conoscere dall'interno le dinamiche del regime. Da chi parta il depistaggio non è chiaro, ma la platea internazionale, Usa in testa, attende una risposta da al Sisi, interlocutore indispensabile per il precario equilibrio mediorientale. E necessariamente la risposta dovrà arrivare: non è escluso che interesserà la polizia anche se forse i responsabili sono in altri apparati del regime.

OTTO GIORNI DOPO
Il testimone, annunciato dal Nyt, si è presentato a otto giorni dal ritrovamento del cadavere, per raccontare agli uomini di Sco e Ros di avere visto salire il giovane ricercatore su un'auto della polizia. Lui, egiziano, è un condomino della palazzina in cui Giulio viveva. «Erano gli stessi agenti che avevo incontrato nel nostro palazzo mentre chiedevano di lui». Ha raccontato di avere assistito alla scena intorno alle 17,30. Impossibile: agli atti c'è il messaggino inviato da Giulio alle 20,40 all'amico Gennaro, che lo attendeva, e alle 20,41 su Facebook alla fidanzata: «Sto andando da Hassanein Keshk». Il coinquilino di Giulio ha anche smentito che la polizia fosse andata nel palazzo. Sabato sul Nyt la stessa versione fornita tre funzionari dell'intelligence egiziana. Anche in questo caso gli investigatori italiani sono scettici.

GLI USA
Maha Abdelrahman, tutor di Giulio del “Center of development studies” per le sue ricerche al Cairo ha spiegato al pm Sergio Colaiocco che il metodo seguito da Giulio (Par) era fondamentale: un'osservazione partecipante, attiva. Forse proprio quello che ha fatto entrare Regeni in un meccanismo di cui non aveva consapevolezza. Alla professoressa è stato anche chiesto quale uso l'università facesse delle ricerche del giovane. E dagli Usa, intanto, arrivano segnali molto forti sulla vicenda. Mentre Obama prometteva a Mattarella collaborazione sulle indagini, il sottosegretario del Dipartimento di Stato, Sarah Sewall, in un discorso alla Auc, ha ricordato l'omicidio mandando un messaggio chiaro ad al Sisi: «Quando le persone sono torturate, quando i manifestanti non violenti vengono uccisi o arrestati, si ipotizza che non ci sia una strada pacifica per esprimere le diverse opinioni, è così che i dissidenti diventano terroristi, che le democrazie si erodono e le economie sfioriscono. Sono lezioni che tutti i Paesi devono tenere a mente». E ha aggiunto: di essere certa che l'Egitto «saprà aprire a un nuovo capitolo, più luminoso, con un'economia competitiva e che allontani l'ombra dell'estremismo violento».