La figlia di Raul Castro a Cuba benedice i matrimoni gay e chiede più diritti

La figlia di Raul Castro a Cuba benedice i matrimoni gay e chiede più diritti
di Stefania Piras
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Domenica 10 Maggio 2015, 11:52 - Ultimo aggiornamento: 13:17
La Cuba che si sta incamminando verso il post embargo è già trasversalissima: oggi Raul Castro incontrerà a Roma Papa Francesco e ieri sua figlia, Mariela Castro, era in prima linea nel corteo del gay pride a L’Avana.

La figlia del presidente cubano è un’avvocatessa molto in vista e attiva nelle politiche a favore di gay, lesbiche e trans. Sul suo blog c’è un post sulla sfilata di ieri che ha visto la partecipazione di un migliaio circa di persone, si legge che le associazioni e gli attivisti LGTB hanno anche l’appoggio religioso: “Ci sostengono leader religiosi e religiose, in una celebrazione di amore e benedizione nei confronti delle coppie etero e omosessuali”. Le immagini, infatti, immortalano baci omosessuali di fonte allo sguardo benevolo di sacerdoti e prelati che hanno benedetto una ventina di coppie. Nessuno dei religiosi presenti appartiene alla Chiesa Cattolica: c’era il reverendo americano Troy Perry della Metropolitan Community Churches di Los Angeles, Roger LaRade, il capo della Chiesa cattolica di Toronto e il suo collega cubano Raul Suarez.



L’avvocatessa Castro ha sfruttato la sua popolarità per promuovere le riforme in questo senso, presiede il CENESEX: il Centro Nazionale di Educazione Sessuale a Cuba ed è stata pronta a dire no allo zio Fidel e al padre Raul in Parlamento. Lo scorso dicembre ha infatti espresso voto contrario su una legge che secondo lei non tutelava abbastanza i trans nel principio di non discriminazione sul luogo di lavoro.



Il matrimonio gay non è legale a Cuba. L’isola deve fare i conti con un passato in cui l’omosessualità era messa al bando. É stato Raul, da presidente, a manifestare le prime aperture, quando ha condannato il trattamento riservato ai gay, garantendo loro maggiori diritti. Ma fu anche lo stesso líder máximo a scusarsi per le persecuzioni gay perpetrate a Cuba negli anni '60 e '70, quando gli omosessuali, come i dissidenti politici, venivano traferiti in campi di lavoro rieducativi.