La proposta Prodi/ Un’Europa a più velocità può agganciare la Russia

di Marco Gervasoni
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Lunedì 6 Febbraio 2017, 00:05
Sono passati solo tre giorni dal vertice maltese ma da noi si è già molto discusso dell’Europa a «diverse velocità». Un fermento assente finora negli altri paesi, almeno a giudicare dallo spazio ristretto dedicato dai media esteri alla notizia. L’attenzione dell’Italia, e del governo, alla proposta non è casuale. Si è infatti capito che non si tratta della vecchia idea delle «due velocità», che riguardava l’integrazione monetaria e più generale economica. Qui siamo in uno scenario diverso. Si prevede infatti che si formino gruppi di paesi più connessi, a seconda di diversi obiettivi, con lo scopo di rendere snelle le procedure decisionali e di non forzare troppo i paesi recalcitranti.
È un percorso che, se intrapreso seriamente, significherà l’abbandono delle utopie federaliste e messianiche degli «Stati Uniti d’Europa» in nome di una realistica presa d’atto delle durezze della storia e del riconoscimento che gli Stati nazione contano ancora, e molto. Sembra, in ogni caso, l’ultima chance per l’Europa: l’alternativa sarebbe una disgregazione, con perdita progressiva di pezzi, e una lenta eutanasia.
Il tutto si dipanerà nei prossimi mesi, ed è per questo che l’esecutivo e l’opinione pubblica del nostro paese sono più attenti di altri. L’Italia ha infatti non solo la possibilità, ma il dovere di collocarsi nei paesi di testa che decideranno le modalità di questo reset dell’Europa.
E con due vertici internazionali importanti, quello di marzo a Roma e quello del G7 a Taormina a fine maggio l’ospite, il governo italiano, ha il diritto di stilare una sorta di ordine del giorno.

Una delle debolezze croniche dell’Europa, ben prima di Maastricht e dell’allargamento, sta nella politica estera: tutti conoscono la famosa battuta di Kissinger «Who do I call if I want to call Europe? », chi devo chiamare quando voglio chiamare l’Europa? E allora una sfida importante, che investe l’Europa o almeno un gruppo di paesi interessati a cimentarvisi, riguarda la Russia. Ieri su questo giornale Romano Prodi ha esplicitamente invitato il governo italiano a muoversi con l’obiettivo di far rientrare Mosca nel G7, magari cercando già di far partecipare Putin come osservatore a Taormina. Gli ostacoli, come ammette l’ex premier, sono numerosi: ma il senso della politica non è quello di cercare di rimuoverli? La rottura e le sanzioni, come ricorda giustamente Prodi, furono volute soprattutto da Washington e da Londra; ma ora Trump sembra pensarla diversamente da Obama, ed è perciò fondamentale che l’Europa giochi una sua parte, magari un attimo prima degli Usa, per non apparire subalterna. L’Italia è sempre stata tra i paesi più critici riguardo a questa deriva anti-russa; è venuto il momento di essere più espliciti, e magari di sfruttare la vicinanza della socialdemocrazia tedesca a Mosca.

Secondo fronte. Non c’è politica estera senza un esercito degno del nome: la sfida di questi mesi sta perciò nel gettare le fondamenta di un’armata europea. Come italiani ne abbiamo in qualche sorta un diritto di primogenitura, visto che la proposta di una Comunità europea di difesa fu lanciata per primo dal governo De Gasperi e dal ministro degli Esteri Carlo Sforza nel 1950. Abortita allora per l’ostilità della Francia, oggi sembrano invece essere mature le condizioni, soprattutto se a Parigi diventasse presidente Macron.
Francia, Germania, Italia e Spagna possono essere il primo nucleo di «volenterosi», come ha proposto sempre ieri su queste colonne il Ministro della Difesa Pinotti ma qualche giorno prima anche il presidente del Parlamento Europeo, Tajani. Il match si giocherà nei prossimi mesi. E non possiamo fare la parte del pugile suonato.
 
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