Il populismo delle piccole patrie locali

di Biagio de Giovanni
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Lunedì 2 Ottobre 2017, 00:05
Stiamo oggi assistendo ai disordini nella Catalogna spagnola, nel giorno di un voto non riconosciuto dal governo centrale, ma l’Europa e il mondo sono più che mai davanti all’imprevisto. È così per tanti, in forme e con cadenze diverse e perfino opposte. In un situazione dove gli attori che contano non sanno se aprirsi alla globalizzazione o rinchiudersi nelle proprie frontiere.

Chiusura che intende reagire alla spinta verso l’omologazione di tutto, e che sembra rispondere a due temi-chiave, identità e sicurezza. E così Brexit; così Trump. Qualcosa che nientemeno ha intaccato anzitutto l’Occidente anglosassone, che è all’origine del mondo globalizzato, ma che oggi ne percepisce i rischi. All’opposto, la Cina, l’ India, e tante realtà, da Singapore a Hong Kong, diventano, invece, i paladini del mondo globale, con la loro crescita esponenziale, resa possibile dalla libertà del commercio mondiale e dalla rottura dei confini di spazio e di tempo, a sua volta prodotto della incalzante rivoluzione digitale.

Un mondo capovolto, si direbbe. La globalizzazione che si morde la coda, si rovescia su se stessa, se proprio i suoi autori e, si potrebbe dire “creatori”, provano a ritirarsi precipitosamente nei propri confini. Con la buona pace dei cantori del mondo omologato e finalmente pacificato, che appaiono un po’ fuori tempo, nel momento in cui tutto è in discussione. La stessa immigrazione di massa, che sta scuotendo l’Europa, è un prodotto del mondo globale, e di uno spostamento potenzialmente senza confini di popoli da un continente all’altro. Nei tempi lunghi, lo scontro mondiale prenderà forma dall’interno di queste grandi contraddizioni, con modalità impreviste che non possono escludere nulla, nemmeno la guerra, proprio l’opposto di ciò che hanno pensato gli ingenui cantori di un nuovo cosmopolitismo. Impreviste le modalità, perché tutto è in fibrillazione, economia, cultura, politica, non come problemi separati e speciali, ma come concrete cerchie esistenziali che riflettono elementi profondi e contrastati della vita in comune.

L’Europa ha già pagato il prezzo di Brexit, e sta cercando di reagire, con la Francia come nuova avanguardia. Ma la partita si va aprendo su un altro fronte, che è stato chiamato delle piccole patrie. La Catalogna è oggi all’ordine del giorno, e sarebbe inutile qui ricordare quante di queste piccole patrie sono in movimento, con tempi e cadenze anch’esse non prevedibili, mettendo in discussione, nelle scelte estreme, il processo unitario di formazione degli stati nazionali, nella prospettiva di una sorta di neomedievalismo, dove l’Europa dovrebbe fungere da orizzonte imperiale. Questa insorgenza fa parte anch’essa, a modo suo, degli squarci che si aprono nel tessuto del mondo globale, ed è gravida di sviluppi contrastati.

Lo Stato-nazione ha formato, e tuttora forma, il contenitore della democrazia politica, degli equilibri tra le sue parti, dell’incompiuto rapporto con la sovranazionalità europea, ed è anche una patria. E siccome sono in generale le regioni ricche che abbracciano la causa dell’indipendenza, e la Catalogna non fa eccezione, il movimento ha una doppia faccia: da un lato esso tende alla formazione di un nuovo circuito economico che salti e magari ignori i contrasti e le diseguaglianze interne alla propria nazione, il circuito delle regioni avanzate; dall’altro, come conseguenza della medesima tendenza, esso può contribuire a uno stato di criticità all’interno dei recinti nazionali, mettendo in discussione la logica del principio di sovranità, dividendo ciò che una lunghissima storia ha tenuto insieme, incrinando il già difficile equilibro tra gli Stati sovrani e il complicato terreno dell’integrazione europea.

Questo processo, che ha oggi per protagonista la Catalogna, contiene una propria lettura del “globale” come un terreno neutrale, impolitico, nel quale si può giocare la partita della partecipazione alla sua virtualità, una forma di populismo che si distingue da quello ancorato al sovranismo nazionale: a proposito di quanti significati si celano dietro quella parola, e di come sia complessa l’analisi del mondo d’oggi. E’ anzi, quello localistico o regionale, l’opposto del populismo sovranista: questo crede fino in fondo alla necessità di recuperare la sovranità politica del proprio Stato; l’altro immagina che la politica non abbia più spazio nel mondo globale (vi immaginate una politica estera della Catalogna?), e che tutto si articoli intorno ad economia e tecnica. Un mondo algido, neutralizzato, solo amministrato, con richiami spesso strumentali a particolarità etnico-linguistiche.

Su tutto questo, in Europa, si sta aprendo una lotta politica e la posizione dello Stato spagnolo appare nella sua piena legittimità politica. Ha iniziato la Francia di Macron, forte di aver battuto il Fronte lepenista, e lo sta facendo con un insieme di proposte di gran consistenza sull’Europa, dopo tante parole a vuoto, tante rigidità, tante chiacchiere retoriche. Un’ Europa presa, in questi anni, dall’idea di poter fare a meno della politica, quasi un invito alle forze particolaristiche che essa contiene dentro di sé a regolarsi allo stesso modo. Ecco perché ora si apre una battaglia importante per il futuro della sua integrazione. Si fanno avanti forze iperpolitiche, sovraniste, e forze impolitiche, tecnico-economiche. Se l’Europa ha un’anima politica questo è il momento di esporla in pubblico e di incominciare a darle forma. Si pensi, anche in Italia, alla gravità del momento, alla necessità di star dentro questo processo che forse si avvia.
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