Ore di lotta e di angoscia sul Nanga Parbat, una delle montagne più insidiose

Ore di lotta e di angoscia sul Nanga Parbat, una delle montagne più insidiose
di Stefano Ardito
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Domenica 28 Gennaio 2018, 16:00 - Ultimo aggiornamento: 29 Gennaio, 10:29
Ore di lotta e di angoscia sul Nanga Parbat, una delle montagne più alte e difficili del mondo. L'alpinista francese Elisabeth Revol, arrivata giovedì pomeriggio sugli 8125 metri della cima, sta scendendo con le sue forze, nella gelida notte himalayana, con temperature tra i -40 e i -50 gradi. Le ultime segnalazioni la danno intorno ai 6500 metri di quota. Non ha con sé né una tenda, né un sacco a pelo né del cibo, rimasti sull'altro versante della montagna. Ma scende, verso la base del Nanga e la vita. Dal basso, a velocità da record, stanno salendo verso di lei il kazako Denis Urubko e il polacco Adam Bielecki, due degli alpinisti più forti del mondo, che un elicottero ha depositato a 4900 metri. Sopra di loro, e sotto all'alpinista francese, sono il ripidissimo ghiaccio e la roccia verticale della via Kinshofer, attrezzata con corde fisse dalle spedizioni del passato.

IL CIBO
Nella notte o al primo mattino (la differenza di fuso orario tra Italia e Pakistan è di 4 ore) i due potrebbero raggiungere e rifocillare la Revol. Poi, a seconda delle condizioni meteo, potrebbero ridiscendere insieme per la parete o essere recuperati da un elicottero. Considerando la stagione, sarebbe un salvataggio da record. Non sembra esserci più niente da fare, invece, per il polacco Tomek Mackiewicz, che giovedì è arrivato in vetta al Nanga insieme a Elisabeth, e che dopo la prima parte della discesa si è accasciato a 7280 metri di quota, senza forze e accecato dal riverbero del sole o da un edema. Forse, se la francese verrà recuperata da un elicottero, Bielicki e Urubko potrebbero provare a continuare fino a lui. Trovarlo vivo, però, sarebbe un miracolo. E a quella quota, nonostante l'abilità dei piloti, gli elicotteri Ecureuil dell'esercito pakistano non sono in grado di arrivare.
Il Nanga Parbat, il più vicino alla pianura dei 14 ottomila della Terra, ha già fatto molte vittime. Negli anni Trenta, le valanghe che hanno colpito due spedizioni tedesche hanno ucciso 25 persone. Nel 1970, dopo aver toccato la vetta con il fratello Reinhold, un'altra valanga ha ucciso l'altoatesino Günther Messner. Poi la vetta è stata raggiunta centinaia di volte, ma un quarto dei vincitori è morto sulla montagna. Sulla Karakorum Highway, la strada che traversa le montagne del Pakistan, un cartello lo indica come the killer mountain, la montagna assassina. Undici mesi fa, il 26 febbraio 2016, la vetta del Nanga Parbat è stata raggiunta d'inverno dal bergamasco Simone Moro, dal basco Alex Txikon e dal pakistano Ali Sadpara, mentre l'altoatesina Tamara Lunger si è fermata 70 metri più in basso. Questa vittoria ha ridato slancio all'alpinismo invernale sugli ottomila. Uno sport che costringe a lottare con temperature difficili da immaginare, e dove i margini di sopravvivenza in caso di errore sono pari a zero.

LE SFIDE
In questo momento, sulle montagne più alte della Terra, sono in corso ben tre spedizioni. E' un record. Sull'Everest, il basco Alex Txikon e il pakistano Ali Sadpara tentano di arrivare in vetta (già raggiunta d'inverno dai polacchi nel 1970) senza respiratori a ossigeno. Una spedizione polacca con la partecipazione del kazako Urubko sta tentando la prima invernale del K2, l'unico ottomila mai salito nella stagione più crudele. Tra il K2 e il Nanga Parbat un elicottero impiega un'ora di volo. Denis Urubko e Adam Bielicki, già acclimatati all'alta quota, sono stati prelevati al campo-base e trasferiti come soccorritori sul Nanga.Questa operazione di soccorso è uno sforzo straordinario spiega Agostino da Polenza, l'alpinista e imprenditore bergamasco (è stato in vetta al K2 nel 1983) che grazie ai suoi contatti in Pakistan sta dando una mano importante al tentativo di salvataggio.

UN'IMPRESA
«Quella di Elisabeth Revol e Tomek Mackiewicz è stata un'impresa da campioni» spiega Daniele Nardi, l'alpinista di Sezze, in provincia di Latina, che ha salito il Nanga Parbat in estate e lo ha tentato per tre volte d'inverno, passando 10 mesi della sua vita sulla montagna assassina. «I due sono saliti per la via Messner-Eisendle, mai ripetuta prima d'ora. Per raggiungere la via normale e la vetta, sono dovuti scendere per 300 metri di dislivello. Al ritorno Tomek non ce l'ha fatta a risalire quel pendio, ed Elisabeth è stata costretta ad abbandonarlo e a scendere per la via Kinshofer, sperando di essere soccorsa». Nelle prossime ore sapremo com'è andata. Ora è il momento di sperare e pregare.
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