Noi e il terrore/L’Occidente e l’equilibrio tra la forza
e il diritto

di Carlo Nordio
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Martedì 24 Novembre 2015, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 00:03
Quando, nel settembre del 1940, Londra veniva dilaniata dalle bombe tedesche, Churchill esortò gli abitanti a continuare a lavorare normalmente. E gli inglesi risposero appendendo il cartello “business as usual”: affari come al solito. Con questo invito il grande statista non pensava affatto di rispondere a Hitler; perché sapeva che l’obiettivo del dittatore non era quello di far cambiare le abitudini agli inglesi, ma di conquistare la Gran Bretagna dopo averla terrorizzata. Churchill si rivolgeva solo ai britannici, nella consapevolezza che il nemico esterno si batte prima di tutto all’interno, con il coraggio e la forza ideale. Le armi sarebbero venute dopo. Restituiremo - disse Winston - «the measure, and more than the measure». La distruzione, con gli interessi. E così fortunatamente è avvenuto. Ma prima, affari come al solito.

L’idea che l’obiettivo del terrorismo islamico sia semplicemente quella di farci cambiare abitudini e stile di vita, come ahimè, abbiamo sentito in questi giorni, è tanto puerile quanto funesta. Essa confonde il mezzo con il fine, e dimostra che spesso per guardare la luna ci si ferma al dito. No, l’obiettivo dell’Isis, come quello hitleriano, è di distruggere la civiltà occidentale con tutti i mezzi, e di sfruttare questi ultimi oltre le reali capacità offensive. Non potendo conquistare New York nè Parigi con strumenti disponibili, le aggredisce con quelle che ha: fanatici suicidi e armi rudimentali.

State certi che se avesse gli aggressivi chimici o gli ordigni atomici, li userebbe senza scrupolo. La risposta razionale dev’essere dunque duplice, civile e militare. Quest’ultima sarà studiata dagli esperti, e speriamo che sia dura ed efficace. Ma la risposta civile non dev’essere meno determinata. Essa deve mirare a salvaguardare le nostre libertà anche contro gli sciacallaggi interni di chi per stupidità, interesse o malvagità diffonde notizie assurde che enfatizzano pericoli fittizi, disperdendo le energie necessarie per fronteggiare quelli reali.



Credo che la risposta politica e giuridica a questa condotta irresponsabile debba essere immediata e rigorosa. Il reato di procurato allarme è previsto: è bene che sia punito in modo esemplare. Ancora meglio se il suo autore viene additato al pubblico disprezzo, non come uno scapestrato goliarda ma come un miserabile sciagurato. Nel momento in cui Roma affronta la sfida del Giubileo, non è tollerabile che un anonimo telefonista getti nel panico una Capitale. Ancora meno, che i cittadini si lascino condizionare da un allarmismo irragionevole: due week end sulle strade sono più a rischio di tutte le discoteche europee.



Ma la risposta civile è anche la riaffermazione del primato della legalità sul terrore e sui pregiudizi. Il fatto che in Francia, in Belgio e in Italia siano stati liberati, dopo i dovuti accertamenti, dei sospettati di terrorismo, non è affatto una dimostrazione di debolezza. Al contrario, è la prova che la democrazia può difendersi soltanto se non si smentisce, e che la forza delle legge è superiore alla legge della forza.

Una cosa però dev’essere chiara. Che se la legge è più forte della forza, essa tuttavia ne ha bisogno, perché una giustizia e una politica disarmate sono impotenti e inutili, e come tali destinate a perire.



Oggi siamo, si dice, tutti parigini. Bene. Sopra la porta del Palais de Justice che dà sulla Senna, sta una scritta che nessuno dovrebbe ignorare: “Gladius legis custos”. È la spada, cioè la forza, che garantisce la legge e la libertà. Anche a costo della guerra. Anche a costo della vita.