Il premio Nobel della Chimica a Dubochet, Frank e Henderson

Il premio Nobel della Chimica a Dubochet, Frank e Henderson
di Alessandro Di Liegro
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Mercoledì 4 Ottobre 2017, 12:10 - Ultimo aggiornamento: 5 Ottobre, 14:40
La Reale Accademia Svedese di Scienze ha deciso di assegnare il premio Nobel per la Chimica 2017 ai tre ricercatori che hanno dato il loro contributo a rivoluzionare l’osservazione molecolare.
Jacques Dubochet, Joachim Frank e Richard Henderson sono i padri della crio-microscopia elettronica a singola particella, un metodo di visualizzazione di particelle molecolari che sfiorano le dimensioni atomiche, che ha portato a un livello molto più avanzato l’informazione che si può avere dalla microscopia elettronica, con una metodologia molto più semplice e immediata rispetto alla cristallografia. «È una vera e propria rivoluzione - spiega il professor Martino Bolognesi, professore ordinario di Biochimica presso il Dipartimento di Bioscienze della Statale di Milano e Accademico dei Lincei - grazie a questo strumento, possiamo trattare molecole che erano per noi assolutamente complicate da studiare per non dire oscure dal punto di vista della struttura 3D. Ora abbiamo tutta la potenzialità e la capacità per studiarle».
Il professor Bolognesi gestisce l’unico crio-microscopio elettronico a singola particella installato in Italia, acquistato in co-finanziamento dall’Università Statale di Milano e dalla Fondazione Invernizzi: «Sostanzialmente è un microscopio elettronico come altri nel funzionamento - spiega il professor Bolognesi - Si usa piccolo fascio di elettroni che viaggiano ad alta energia, circa al 70% della velocità della luce. Sono particelle molto energetiche che colpiscono i campioni». La differenza, però è nel detector, molto più sensibile e accurato nella definizione dell’immagine delle macromolecole come proteine, acidi nucleici, compessi cellulari: «Congeliamo queste molecole alla temperatura dell’azoto liquido (a -170 gradi) e usiamo dosi di elettroni microscopiche. Così riusciamo a vedere come son costituite queste macromolecole, alla base del funzionamento della cellula, con dettaglio vicino alla risoluzione atomica» prosegue l’accademico. Lo strumento, operativo dallo scorso luglio in Italia, è tanto grande quanto sensibile: «Pesa tre tonnellate e ha una taratura incredibile che ci permette di vedere dettagli che hanno dimensioni dell’Angstrom (0,1 nanometri) - continua Bolognesi - È uno strumento che non deve vibrare e che non dev’essere sottoposto a onde acustiche o elettromagnetiche».
Tra i campi di ricerca che già utilizzano la metodologia della crio-microscopia vi sono la biologia molecolare e strutturale, la farmacologia e la biomedicia, come spiega la professoressa Beatrice Vallone, ordinaria di Biochimica all’Università La Sapienza di Roma: «Grazie a questo strumento possiamo creare una molecola che blocca una cellula cancerosa perché ne abbiamo capito il processo molecolare, o possiamo bloccare un virus perché riusciamo a elaborare un qualche oggetto che si incastra perfettamente nella macchina del virus e ne blocca il funzionamento». La Reale Accademia Svedese di Scienze ha mostrato i modelli in 3D di tre proteine analizzate con il crio-microscopio: dal complesso proteico che governa i ritmi circadiani (scoperta Nobel per la Medicina 2017), a un sensore di pressione fondamentale per l’udito al virus Zika: «È uno strumento che potrebbe essere utilizzato anche per lo studio della fibrosi cistica o dell’Alzheimer, patologie che si attivano perché una proteina, una grossa molecola nella cellula, funziona male - prosegue la professoressa Vallone - Se noi capiamo come funziona, quando funziona bene o male, possiamo intervenire nella maniera più precisa possibile».
La scoperta di Dubochet, Frank ed Henderson, premiati con l’iconica medaglia e 9 milioni di corone svedesi equamente divise, apre prospettive incredibili per la biochimica, attraverso la visualizzazione di processi mai visti prima, decisivi per capire le basi della chimica della vita e per lo sviluppo di farmaci “disegnati” appositamente per colpire una singola cellula malata, dando speranza per la ricerca su patologie rare e letali.
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