Missione antiscafisti/ Italiani in Niger, limiti operativi fino a giugno

di Gianandrea Gaiani
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Giovedì 4 Gennaio 2018, 08:44
Dopo accesi dibattiti, la missione militare in Niger è stata ridimensionata, da quanto reso noto dallo Stato maggiore della Difesa. Niamey chiedeva da anni un ruolo italiano in supporto alle sue forze armate, forse anche per bilanciare la presenza sempre più ingombrante di francesi e statunitensi. L'accordo di cooperazione militare del 27 settembre scorso è stato rafforzato ieri dalla visita a Niamey del ministro degli Esteri Angelino Alfano, che ha inaugurato l'ambasciata italiana, la prima in tutto il Sahel.

Quanto alla missione militare, la Difesa ha precisato con un comunicato diffuso a ridosso dell'annuncio che «nulla è stato definito riguardo al nome» (che secondo alcune anticipazioni dovrebbe essere Deserto Rosso) e che è «prematuro citare il nome o la tipologia particolareggiata delle unità che potrebbero essere impiegate».
Evidente il tentativo di smorzare i toni su un'operazione che non ha ancora avuto il via libera dal Parlamento, che dovrebbe curiosamente autorizzarla nei prossimi giorni pur essendo ormai state sciolte le Camere.

DICHIARAZIONI DISCORDANTI
Ad alimentare polemiche sullo scopo della missione avevano contribuito le dichiarazioni discordanti di Paolo Gentiloni e del generale Claudio Graziano. Il presidente del consiglio aveva parlato di «contrastare» in Niger terroristi e trafficanti mentre il capo di stato maggiore della Difesa aveva precisato che l'operazione non sarebbe stata di combattimento.

«Lo scopo della missione è quello di incrementare la capacità operativa delle Forze nigerine e di metterle in condizioni di garantire la stabilità dell'area e contrastare i traffici illegali di migranti» ha precisato il comunicato aggiungendo che «è in atto una attività di ricognizione necessaria per definire i contorni esatti dell'operazione e le esigenze di addestramento da soddisfare».

I nostri militari si occuperanno quindi solo di addestramento, non di operazioni contro le milizie jihadiste, come secondo alcune fonti avrebbero voluto i francesi che in Niger schierano da tempo ampie forze combat.
L'ipotesi di schierare i nostri militari a Fort Madama, nel deserto vicino al confine libico, non sembra quindi attuabile con forze così limitate: si prevede infatti «l'impiego di alcune centinaia di unità fino ad arrivare ad un numero massimo di 470 militari, con media prevedibile di 250 nel corso dell'anno». La delibera che il governo ha inviato al Parlamento aggiunge che il contingente non supererà i 120 effettivi fino a giugno e che il porto di Cotonou, in Benin, verrà impiegato per portare via nave truppe e mezzi il più vicino possibile al Niger. Lo stesso documento illustra inoltre le componenti iniziali del contingente con team di comando, ricognizione, difesa e scorta, genio, intelligence, addestramento, sanità e difesa contro minacce bio-chimico-radiologico-nucleari.

Con appena 120 uomini, il contingente potrà erigere una base logistica, probabilmente all'aeroporto di Niamey (a poco più di mille chilometri dal porto di Cotonou) dove già vi sono le basi americana, francese e tedesca, avviando qualche attività addestrativa. Da giugno sarà poi il nuovo governo a stabilire quali caratteristiche imprimere alla missione e se schierare o meno reparti al confine libico.

La missione in Niger rientra in una più ampia rivisitazione delle operazioni internazionali che nel 2017 hanno assorbito 6.800 militari schierati in 22 Stati nell'ambito di 33 missioni nazionali, Ue, Onu e Nato con un costo di poco superiore al miliardo di euro.

LE COMPONENTI INIZIALI
Il grosso delle forze e delle spese sono concentrati nei teatri afghano, iracheno, libanese e kosovaro. In Iraq verranno dimezzati i 1.400 militari ritirando gran parte dei 500 fanti a difesa della Diga di Mosul, ma non tutti poiché l'infrastruttura consolidata dalla ditta italiana Trevi è ancora nel mirino dei terroristi dell'Isis. Ritirati anche parte dei 7 velivoli schierati in Kuwait e degli 8 elicotteri basati a Erbil, riducendo anche i costi pari a 301 milioni nel 2017.

RISPARMI
Tagli anche in Afghanistan dove i militari scenderanno da 950 a 700, grazie all'invio a Herat di altri contingenti Nato e i costi si ridurranno rispetto ai 174,4 milioni spesi nel 2017. Le minori spese a Herat ed Erbil copriranno i costi della missione in Niger.

Nessuna riduzione sembra prevista dalla Libia (300 uomini nell'operazione sanitaria Ippocrate a Misurata), dal Libano dove mille caschi blu italiani presidiano un'area sempre più calda al confine con Israele, né dal Kosovo dove i 500 italiani della missione Nato monitorano la culla del jihadismo europeo.

 
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