Migranti, dopo Parigi tocca a Tel Aviv: Roma punta sulla linea dura

Migranti, dopo Parigi tocca a Tel Aviv: Roma punta sulla linea dura
di Cristiana Mangani
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Martedì 3 Aprile 2018, 00:29 - Ultimo aggiornamento: 10:00

Dopo “l’invasione” non concordata a Bardonecchia, ora anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu prova a fare lo sgambetto all’Italia. Niente di premeditato, solo qualcosa che lo levi dall’impaccio di gestire oltre 16 mila migranti non graditi nel suo paese. Ma l’accordo con l’Onu per “la relocation” di un gruppo di richiedenti asilo senza diritto, arriva come la navicella cinese sulla Pasquetta italiana. Immediata e rigida la reazione della Farnesina che, questa volta non tenta neanche la strada diplomatica e mostra quella che sarà la linea del governo verso intromissioni non autorizzate o concordate.

«Non c’è alcun accordo con l’Italia nell’ambito del patto bilaterale tra Israele e l’Unhcr per la ricollocazione, in cinque anni, dei migranti che vanno in Israele dall’Africa e che Israele si è impegnata a non respingere», precisano fonti del ministero degli Esteri.
E il Viminale non fa che ribadire le dichiarazioni, con il prefetto Mario Morcone, capo di gabinetto del ministro Marco Minniti, che non usa mezzi termini: «Questa di Netanyahu e di Israele è un’operazione di pura comunicazione». Senza contare che, in attesa del nuovo governo, quello rimasto in carica per gli affari correnti, sembra avere altro a cui pensare che non decidere se farsi carico di nuovi migranti.

CASI LIMITATI
Insomma, se mediazione ci sarà tra l’Onu e Palazzo Chigi, non sarà certamente in questi giorni e gli esiti potrebbe essere scarsamente positivi. Anche perché - come sottolinea la portavoce dell’Uncr, Carlotta Sami: «Solamente previo accordo con il governo italiano potrebbero arrivare alcuni rifugiati da Israele. E comunque a titolo di ricongiungimento familiare con parenti che già vivono qui. Quindi, pochissimi e solo in casi specifici».

Tutto avverrà - secondo una ricostruzione del Viminale - solo se l’Italia vorrà farsi carico di questa quota di migranti. «Tel Aviv - chiariscono - ha raggiunto un accordo con l’Alto commissariato Onu. Sarà quest’ultimo a lanciare una call a tutti i paesi che vi vorranno aderire per quello che tecnicamente viene chiamato resettlement, una redistribuzione. Ma nessuno è obbligato ad accettare». Anche perché di migranti l’Italia se ne fa già parecchio carico, visti gli sbarchi che le nostre città del Sud continuano a dover fronteggiare, sebbene in numero molto ridotto. Difficilmente, quindi, l’accordo preso da Israele con le Nazioni Unite ci riguarderà oggi e, quasi certamente, neanche in un prossimo futuro. Più facile - aggiungono ancora al ministero dell’Interno - che questa ricollocazione riguardi la Libia e il Niger, paesi più indicati per un eventuale resettlement in direzione dell’Italia».
LE REAZIONI

Del resto, tra gli sbarchi, l’accoglienza e l’integrazione, il nostro paese fa già ampiamente la sua parte, non senza difficoltà. E, in attesa del governo che verrà, già arrivano strali dagli scranni parlamentari. Come perdere l’occasione per contestare la politica sull’immigrazione adottata finora? In testa, il neo vice presidente del Senato, Roberto Calderoli, che attacca: «Chi è ancora al Governo, seppure come dimissionario, non ha realizzato che ci sono state le elezioni e che quelli che hanno fatto arrivare i 600 mila clandestini sono stati sconfitti e mandati a casa dai cittadini?».

Di seguito, il collega a Palazzo Madama Maurizio Gasparri: «Bisogna opporsi e anzi chiedere che altri semmai prendano profughi approdati in Italia. Il Parlamento dica no subito». E Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera, ribadisce: «Prima l’affronto della Francia con le “gite” non autorizzate dei suoi doganieri sul suolo italiano, ora il balletto del ricollocamento dei migranti da Israele. In mezzo si conferma l’impalpabile presenza del nostro ministero degli Esteri che si affida a fonti non ufficiali per smentire l’iniziativa di Israele. Un’altra figuraccia, l’ennesima, che impone al più presto il ritorno a una politica estera degna dell’Italia e del rispetto degli italiani».
Le reazioni si fanno sentire nonostante lo stesso premier israeliano specifichi che ha citato l’Italia solo come esempio. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, a una eventuale telefonata da Ginevra, sede dell’Onu, la risposta sarebbe certamente: «Migranti da ricollocare? No, grazie». 

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