Le insidie del testo/ E Dublino diventa una trappola per chi voleva cambiarla

di Nicola Latorre
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Sabato 30 Giugno 2018, 01:02
«Sui migranti si decide il destino dell’Ue». Così Angela Merkel giovedì scorso, appena arrivata a Bruxelles per il Consiglio Europeo.Gli ha fatto subito eco il nostro Presidente del Consiglio: «Oggi c’è in gioco l’Europa». E certamente quella migratoria si è rivelata la questione più delicata di un Consiglio Europeo che pure aveva all’ordine del giorno altri temi cruciali per il futuro del progetto europeo, dalla riforma dell’eurozona alle politiche di sicurezza e difesa. Ma è sull’immigrazione che già nel prevertice di domenica scorsa e in questi due giorni si è concentrato il confronto tra i leaders europei. Il documento conclusivo sottoscritto da tutti i partecipanti ha evitato che il diverso approccio sul tema immigrazione si traducesse in una conclamata crisi dell’Unione Europea, e ha spostato in avanti nel tempo il confronto risolutivo. Così nella sostanza non c’è nulla di nuovo e per il nostro Paese qualcosa peggiora. 
Quello dell’immigrazione è ormai il terreno sul quale in tutti i paesi europei si sta svolgendo lo scontro politico interno. E il discrimine sovranismo/europeismo si va definendo, in questa fase, proprio in base alle posizioni assunte in materia di immigrazione. Le difficoltà di una intesa dunque nascono non solo dalla oggettiva complessità del problema ma anche, e forse soprattutto, dalla sua significativa portata politica. Per venire quindi al merito il documento finale del vertice ha raccolto le esigenze di tutti ma ha rinviato ogni soluzione. I leaders sono tornati a casa ognuno presentando il bicchiere mezzo pieno e occultando quello mezzo vuoto. Ma a ben vedere chi può vantare un indubbio successo politico è il gruppo dei paesi di Visegrad. Guardando al bicchiere mezzo pieno tutti hanno convenuto sulla necessità di rafforzare Frontex, di insistere per una difesa delle frontiere esterne da considerare come un’unica frontiera europea. E sulla necessità di assumere l’Africa come l’orizzonte strategico europeo di una politica di investimenti che ne sostenga lo sviluppo. Ma una attenta lettura delle conclusioni rende sempre più evidente il bicchiere mezzo vuoto. Si annunciava una revisione del regolamento di Dublino che , come previsto dall’art.78 del Trattato sul funzionamento dell’Ue è stato adottato secondo la procedura legislativa ordinaria e per cambiarlo quindi non era richiesta l’unanimità del consenso dei paesi Ue. Il documento conclusivo del vertice non solo ne ha confermato la validità ma ha vincolato un eventuale prossimo cambiamento alla unanimità dei consensi. Cosi vanificando ogni possibilità di revisione nell’interesse del nostro Paese. L’altro punto essenziale su cui si annunciava un cambiamento era relativo ai così detti “movimenti secondari”. Quelli che riguardano i migranti che si muovono dal paese di primo ingresso nell’Ue, competente per il regolamento di Dublino a valutare la richiesta d’asilo, verso un altro Paese dell’Ue. Dopo questo vertice i movimenti saranno tassativamente impediti e i respingimenti verso i Paesi di primo ingresso diventeranno obbligatori. Per non parlare del capitolo più delicato sul quale giustamente il nostro Presidente del Consiglio aveva annunciato un atteggiamento irremovibile dell’Italia. La distribuzione cioè dei migranti tra i Paesi europei con quote prestabilite e obbligatorie, sia di quelli con diritto d’asilo che di quelli senza tale diritto, prima che per questi ultimi si realizzi il rimpatrio. L’accordo raggiunto ha escluso completamente questa possibilità e i centri di accoglienza nella Ue saranno su base volontaria e solo per i rifugiati. Per tutti gli altri i campi dovranno essere fatti nei paesi di ingresso. Insomma di tutto si può parlare dopo questo vertice meno che di una politica comune europea dell’immigrazione. E il successo politico dei Paesi del gruppo di Visegrad che da sempre hanno osteggiato una comune assunzione di responsabilità in tutte le fasi della gestione dei flussi migratori è ancora più rilevante se si considera che dal primo luglio inizia il semestre europeo a guida austriaca. Paese il cui attuale Governo è in grande sintonia con le posizioni di Visegrad. Il prezzo più alto di una simile situazione rischia di pagarlo proprio l’Italia. 
Sarebbe allora il caso di fermarsi a riflettere sulla opportunità di cambiare linea e mettere in campo una strategia più efficace. A furia di battere i pugni sul tavolo senza una valida strategia anche di alleanze si può rimanere con le pive nel sacco e magari anche con le mani inutilmente piene di ferite.
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