Micah, il reduce dell'Afghanistan tornato dalla guerra carico di odio

Micah, il reduce dell'Afghanistan tornato dalla guerra carico di odio
di Flavio Pompetti
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Sabato 9 Luglio 2016, 08:47
NEW YORK «Questo attentato è stato organizzato con cura e con dovizia di particolari - ha detto il capo della polizia di Dallas David Brown in uno dei telegrafici aggiornamenti sullo stato dell'inchiesta - e noi non avremo pace finché la giustizia non sarà fatta». Con queste premesse, e con tre persone ancora in stato di fermo, appare difficile concludere che una strage di queste proporzioni abbia potuto essere compiuta dal singolo cecchino che la polizia ha ucciso dopo cinque ore di assedio al secondo piano del complesso di uffici El Centro.

IN TUTA MIMETICA
Il venticinquenne Micah Xavier Johnson non era in ogni caso un fuciliere alle prime armi. Riservista dell'esercito, si era arruolato nel 2009 e aveva prestato servizio attivo dal novembre del 2013 a luglio del 2014. Quella che appare essere la sua pagina personale su Facebook, lo vede ritratto in tuta mimetica, con un oggetto solo parzialmente inquadrato, ma che sembra essere un fucile automatico. Si era congedato nell'aprile del 2015 dopo ripetuti turni di servizio che lo hanno portato anche in Afghanistan, con la qualifica di esperto carpentiere.

Alcuni dei vicini della casa di Mesquite a est della città, nella quale viveva insieme alla madre Delphene dicono che sia stata proprio l'avventura sul fronte di guerra a cambiarlo. Era tornato più ombroso e riservato, e negli ultimi tempi passava quasi tutto il tempo nell'appartamento al secondo piano del modesto complesso abitativo di periferia. Nessuno si è fatto avanti finora a fornire dettagli più intimi della sua vita, ma chi lo conosceva di vista nel quartiere non ricorda particolari segni in grado di attirare l'attenzione, o rivelare la rabbia che stava covando dentro di lui. Frequentava persone di colore così come i bianchi che abitano in questa frazione di pendolari che gravitano nella città di Dallas e tornano la sera dopo il lavoro. Qualcuno ricorda di aver giocato a pallacanestro con lui: si faceva chiamare Xavier e aveva un temperamento amichevole, tanto da aver lasciato di stucco chi ieri ha appreso quello che ha fatto. Eppure l'odio contro i bianchi lo divorava, almeno nel momento in cui è salito sul Suv nero di proprietà della madre per raggiungere il centro della città giovedì pomeriggio, e infiltrarsi tra i dimostranti. Ai poliziotti che hanno negoziato con lui fino alle 2:30 di mattina prima di ucciderlo ha detto di non avere nessun interesse per il movimento Black Lives Matter: «È una perdita di tempo», né di avere alcuna affiliazione con altri movimenti, istituzionali o estremisti che siano.

La sua determinazione sarebbe cresciuta in silenzio, fomentata dalla lunga sequela di morti di afro americani per mano di poliziotti spesso altrettanto furiosi come lo era lui, e accecati dalla rabbia razziale.

PACCHI DI MUNIZIONI
Nella sua casa la polizia ieri mattina ha rimosso pacchi di munizioni, e chi lo ha visto sparare racconta che era così appesantito dai proiettili che aveva nelle tasche, che si trascinava piuttosto che camminare. Questo è uno dei dettagli che ha reso possibile la strage, oltre naturalmente all'uso di un'arma non ancora identificata, ma di sicuro alto potenziale letale. Johnson era d'altronde incensurato, nessuno lo avrebbe ostacolato nell'acquisto di quante armi e quanti caricatori avesse voluto comperare nello stato garantista del Texas, il primo tra i difensori del secondo emendamento della costituzione americana. Uno stato nel quale il 44% della popolazione custodisce in casa una delle 350.000 armi legalmente registrate.