A scuola con un avatar robot: la commovente storia del giovane Lyndon

Lyndon Baty
di Anna Guaita
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Venerdì 10 Gennaio 2014, 23:42 - Ultimo aggiornamento: 14 Gennaio, 10:39
NEW YORK – Lyndon, Connor, Chris, Miranda, Lexi: sono tutti bambini affetti da malattie che li obbligano a restare in ambienti sterili. Fino a due o tre anni fa, per loro non sarebbe esistita la possibilità di andare a scuola. Avrebbero studiato da soli, a casa. Non avrebbero avuto amici, e nessuna interazione diretta con i maestri. Ma tutto ciò sta cambiando. E si deve a un pioniere, che ha scoperto la possibilità di continuare ad andare a scuola, ma con un “avatar”.










Lyndon Baty ha oggi 15 anni e sta finendo il liceo, ma gli ultimi anni non li ha fatti di persona: fra i banchi ci è arrivato “virtualmente”, grazie a un piccolo robot, Vgo, alto un metro e venti, del peso di nove chili, che al posto delle testa ha un iPad su cui Lyndon si collega da casa via Skype. Dalla sua scrivania, grazie al collegamento wi-fi, Lyndon pilota il suo avatar bianco lungo i corridoi della scuola, fra i banchi, fin sotto la lavagna. E così partecipa alle lezioni, interviene e risponde alle domande dei professori, sostiene esami e fa compiti in classe: “La sua vita era stata condannata all’isolamento totale – ricorda il padre, Louis -. Poi abbiamo scoperto Vgo e mio figlio ha ritrovato la voglia di vivere”.



Lyndon è nato con una malattia genetica rarissima, per cui ha dovuto subire un trapianto del rene a sette anni. Per otto anni l’organo ha funzionato bene, e Lyndon ha potuto frequentare la scuola. Ma poi la catastrofe: una crisi di rigetto che nessun medicinale è riuscito a sconfiggere. L’unica strada per i medici è stata di azzerare il sistema immunitario del ragazzino. Ma questo significava che Lyndon non sarebbe più potuto uscire, per il rischio di contrarre infezioni letali.



Ed è stato allora che il padre e la madre hanno scoperto la possibilità di adottare un robot-avatar. D’accordo con il liceo della piccola cittadina agricola di Knoxville in Texas, Lyndon ha mandato Gvo a scuola al posto suo. E dopo qualche difficoltà nel pilotarlo, farlo girare senza sbattere negli angoli, scivolare fra i banchi senza far cadere qualche sedia, dopo il rodaggio con il volume dell’audio e la messa a fuoco della telecamera, tutto è filato liscio. Certo: Vgo non ha braccia o mani, quindi davanti a una porta chiusa, deve chiedere aiuto. Ma per il resto, la sua presenza è stata accettata: “Non è un robot, lì dentro c’è Lyndon” dicono i suoi compagni.



La vicenda del ragazzino texano ha fatto testo negli Usa: due anni dopo l’inizio del suo esperimento, sono ormai 50 i bambini americani affetti da allergie, malattie immunitarie, problemi cardiaci ad aver scoperto il piacere di essere presenti – anche se virtualmente – in una classe. C’è Lexi Kinder, nella Carolina del sud, che il suo avatar lo ha vestito con un gonnellino rosa e una fascia ricamata intorno alla “testa”. C’è Chris Colaluca, in Pennsylvania, che gioisce: “Finalmente qualcosa in cui sono io al comando, ed è facile: è come un videogioco!” C’è Devon Carrow, nello Stato di New York, che soffre di terribili insormontabili allergie e non potrebbe mettere piede fuori casa: da un anno segue come tutti i suoi compagni le lezioni della scuola elementare, solo che quando vuole alzare la mano per rispondere pigia un pulsante del suo computer e sulla testa del suo Vgo si accende una lucina.



I robottini costano circa 5-6 mila dollari e richiedono manutenzioni annuali per circa 1200 dollari. Non sono economici, ma sia le famiglie che le scuole sono pronte a investire per dare agli scolari così sfortunati una speranza.



La vita di questi bambini non è certo gioiosa, come quella dei compagni che possono essere in classe in carne ed ossa. Ma l’alternativa per loro sarebbe l’isolamento totale. Anche se solo virtualmente, vivono le stesse esperienze dei loro compagni. Nella speranza, ovviamente, che la scienza medica trovi presto una cura, che permetterà loro di mettere l’avatar in naftalina e rientrare nel mondo di persona, sulle proprie gambe.