Ora il rischio è l'escalation. Al Sisi chiave per la tregua

Ora il rischio è l'escalation. Al Sisi chiave per la tregua
di Marco Ventura
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Sabato 31 Marzo 2018, 07:48 - Ultimo aggiornamento: 16:29
Le ricorrenze simboliche, le festività coincidenti con le suggestioni della storia, in pratica il calendario della memoria, scandiscono le strategie del presente. E quella innescata ieri lungo le barriere della Striscia di Gaza è un'altra tappa del lungo conflitto israelo-palestinese. Sullo sfondo le lotte intestine tra gli stessi palestinesi adesso che il leader di Fatah e presidente dell'Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, volato negli Stati Uniti a fine febbraio per accertamenti clinici, è ufficialmente malato e quindi vicino a essere sostituito. La lotta per la successione a Abbas (alias Abu Mazen) ha già provocato il recente, fallito attentato al premier Rami Hamdallah, suo fedelissimo, più come segnale e prova di forza che come effettivo tentativo di liquidare un (improbabile) concorrente.

ARMI E SOLDI
C'è poi la politica di sobillazione islamica anti-israeliana dell'Iran, che attraverso le milizie Hezbollah in Libano fa arrivare armi (e soldi) anche nella Striscia dove abitano 2 milioni di persone, molti giovanissimi senza lavoro, in quella che stando alla narrativa palestinese è una immensa prigione a cielo aperto, oppure una popolazione ostaggio di leader senza scrupoli che mandano a morire anche i bambini, secondo Israele. E c'è un'altra scadenza che agli occhi di tutti i palestinesi sarebbe un affronto e un inaccettabile punto di non ritorno: lo spostamento dell'ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme, a dispetto della rivendicazione di Gerusalemme Est come capitale del futuro Stato palestinese. Ecco allora perché gli scontri proprio ieri 30 marzo, Land Day o Giorno della Terra, che ricorda l'esproprio delle terre dei palestinesi 42 anni fa e l'uccisione di 6 arabi israeliani nelle proteste che ne seguirono. Ben 6 da ieri le settimane di mobilitazione proclamate da Hamas, con la volontà dichiarata di sfondare le barriere e far rientrare le famiglie dei profughi nelle case del 1976, fino al 15 maggio ricorrenza della nascita dello Stato ebraico nel 48 (Nabka, catastrofe, per i palestinesi). E in Israele, intanto, ci si avvia a festeggiare la Pasqua ebraica. Insomma, ci sono tutte le condizioni per la tempesta perfetta. Prevedibili gli scontri. Gli israeliani lo sapevano e avevano dato l'allarme. A cominciare dal ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, in una lunga intervista a Yediot Aharonot. Non soltanto Lieberman aveva avvertito chiunque avesse violato le barriere attorno alla Striscia, non solo aveva promesso agli israeliani di far celebrare la Pasqua in sicurezza e pace, non soltanto aveva accusato Hamas di fomentare le manifestazioni con trasporti gratis, internet gratis, bagni, tendoni e un concerto rock. Aveva anche puntato l'indice contro Teheran come fonte dei disordini: «Hamas e la Jihad islamica non possono esistere senza il sostegno iraniano, proprio come gli Hezbollah (in Libano). Tutte le armi, le munizioni i consulenti e la tecnologia, tutto proviene dall'Iran». In questa nuova battaglia l'Egitto si trova dalla parte di Israele. Il ruolo di mediazione del generale Al-Sisi appena rieletto presidente ha come obiettivo la pacificazione tra Hamas e Fatah, fra Gaza e Ramallah, in chiave moderata. Oltretutto perché dietro Hamas si intravede un pericolo anche più insidioso: nella Striscia agiscono gruppi jihadisti vicini al Califfato e alle formazioni terroristiche islamiche.

GLI STATI UNITI
D'altra parte la designazione di John Bolton consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump negli Usa e la scelta di un altro falco, Mike Pompeo, segretario alla Difesa, non rassicurano certo i palestinesi. Indiscrezioni da Washington indicano il 15 maggio, 70° compleanno di Israele, come la possibile data del trasferimento dell'Ambasciata. Infine: il portavoce del braccio armato di Hamas (le Brigate Izz ad-Din al-Qassam) nei giorni scorsi ha accompagnato con dichiarazioni muscolari un'esercitazione che aveva già provocato la reazione della Difesa aerea israeliana. Insomma, non si annuncia una Pasqua di pace in Medio Oriente.
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