Parigi, la strage vista dai bambini: «Non dobbiamo aver paura»

Parigi, la strage vista dai bambini: «Non dobbiamo aver paura»
di Maria Lombardi
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Sabato 21 Novembre 2015, 13:47 - Ultimo aggiornamento: 20 Novembre, 10:02

ROMA «La maestra Angela ci ha detto quello che è successo a Parigi. Tutte cose che io sapevo già. Ci ha detto che delle persone sono andate allo stadio con le bombe addosso, uno si è suicidato, e ci sono stati tanti morti. Angelica dice che arriveranno anche qui». Tommaso ha sette anni, come Angelica. E lei come fa ad essere così sicura? «Gliel'ha detto l'operaio che lavora nel suo negozio». Tu hai paura? «No, che ci vuole a prendere il fucile che ho nella mia camera?». Beatrice cerca di tranquillizzare i compagni, «qui a Roma non può succedere niente perché ci sono tanti poliziotti e adesso ne arrivano altri». Seconda elementare, scuola Ada Negri all'Appio Latino, lezione di Isis, come in tante altre classi a Roma e un po' ovunque. Luca ha capito questo: «Quelli dell'Isis sono cresciuti con l'odio dentro, cioè sono cresciuti in cattività». Che vuol dire? «Che invece di crescere sereni e felici, quelli crescono nervosi», Lorenzo. «Hanno ucciso degli innocenti, abbiamo pregato per loro», Alessandro.

UN MINUTO DI SILENZIO

Le parole per dire dell'orrore, a bambini di sette, otto anni. Per spiegare che la guerra - o qualcosa che le somiglia - non è solo un gioco, che ci sono uomini che invocano il loro Dio prima di uccidere, che sparano senza sapere chi colpiranno, conta solo il sangue. «Ma la religione non insegna il bene?», la domanda di Daniele, quinta elementare della Mazzini. «Sì, certo che insegna il bene. Ma alcuni la interpretano male», e non c'è lezione più difficile per un insegnante. Spiegare dove finisce la fede e inizia il fanatismo, la differenza tra credere ed essere schiavi del proprio credo, mostrare l'odio e far vedere fin dove può arrivare. «Dobbiamo stare molto attente, spiegare e rassicurare, misurare le parole.

Anche perché non tutti i genitori sono d'accordo che se ne parli», la maestra fila via, affaticata. Sui gruppi whatsapp delle mamme ci si schiera: quelle che dicono ok al minuto di silenzio e alla lezione sul terrorismo e quelle che vorrebbero proteggere i propri figli dal mondo.

«La maestra ci ha spiegato cosa è l'Isis. Poi ci ha detto di scrivere su un foglio i sentimenti che provavamo. Io ho scritto la parola rabbia. Ci vogliono imporre con la violenza la loro religione anche se non ci piace», Martina, nove anni, quarta elementare alla Mazzini, quartiere Trieste. «A me fanno paura questi uomini armati. L'ho detto a mia mamma: basta, non voglio più vedere tutti questi telegiornali», Giulia ha sette anni, vorrebbe tornare alla leggerezza dei cartoni. Vasi di fiori di cartone creati dai bambini per le vittime di Parigi, in una seconda elementare della Ovidio, alla Balduina,

Mentre il professore di religione parlava dell'Isis in una prima media della Sinopoli, vicino viale Somalia, un ragazzino giocava con la carta. «Il prof ci ha detto: lo vedete questo? Noi siamo deboli come un foglio di carta di fronte ai terroristi e loro lo sanno. È solo questione di tempo prima o poi arriveranno anche da noi. Beh, diciamo che non ci ha tranquillizzato». Sono passati tre giorni da quando si sono salutati l'ultima volta all'uscita di scuola, sembra chissà quanto. «Io ho paura. Di uscire, di prendere i mezzi, di incontrare i miei amici», Laura dimostra più dei suoi dodici anni spaventati. «C'è il Giubileo, siamo i prossimi. Voglio cambiare città».

L'INVITO

Se ne è parlato quasi ovunque, nelle aule, come aveva invitato a fare il ministro del Miur, Stefania Giannini, in un post su fb. «Non possiamo restare indifferenti e chiuderci nelle nostre paure. Invito le scuole e le università a dedicare un minuto di silenzio alle vittime». Carla Alfano, preside dell'istituto comprensivo Alfieri-Lante della Rovere, ha parlato lei stessa ai ragazzi della terza media. «Ho fatto una lezione di storia perché sull'onda emotiva temo che il pericolo di una deriva razzista sia alto. Dovete crescere, ho detto, cercando di capire le ragioni e non essere strumentalizzati. Mi dovete promettere di studiare per diventare liberi». E alle elementari? «Ho lasciato che le maestre agissero secondo la loro sensibilità. Il timore è che nelle classi dove ci sono molti bambini immigrati si finisca per guardare come un tagliagola il compagno di banco di un'altra religione». Ma «sensibilizzare non vuol dire demonizzare», sostiene Mario Rusconi, presidente dell'associazione nazionale dirigenti scolastici. «Si tratta di trovare una convivenza nell'ambito del rispetto delle specificità». Oggi si torna ai quaderni, con qualche pensiero in più.