La missione in Cina/Passi avanti con Pechino ma tempi lunghi per la svolta

di Romano Prodi
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Domenica 2 Settembre 2018, 00:05
Anche se non abbiamo ancora gli elementi necessari per valutarne le conclusioni, e ancora meno per prevedere quali frutti potranno nascerne, penso che la missione in Cina del Ministro dell’Economia sia stata opportuna. Una missione opportuna perché tutta l’economia del mondo è in subbuglio ed è quindi bene conoscere le strategie dei nostri partner economici e fare loro sapere quali sono le intenzioni del governo italiano. Certo la “grande confusione” che governa oggi il cielo va ben oltre i confini del nostro paese e sembra soprattutto attendere l’esito dello scontro fra una Cina che vede il proprio futuro in un mondo spinto da un’economia globalizzata e gli Stati Uniti che, con l’America First, tendono a mantenere e rafforzare il loro primato tecnologico messo sempre più a rischio dal gigantesco passivo della bilancia commerciale americana. <HS9><HS9>È chiaro che in questo contesto l’Europa, così marginale nel quadro del potere politico mondiale, diventa invece un perno essenziale della politica economica cinese che tutto farà per evitare che le tensioni esistenti sfocino in una chiusura dei mercati e, soprattutto, dell’enorme e ricco mercato europeo.

Fa certo parte della “grande confusione” il fatto che il maggiore paese comunista del mondo sia in favore della globalizzazione e dei mercati aperti, mentre l’alfiere del capitalismo combatta invece per accordi commerciali ristretti e bilaterali. 


Ma questo è solo un ulteriore tributo all’imprevedibilità della Storia! <HS9>Bisogna tuttavia ammettere che, in questa politica della necessaria apertura cinese nei confronti dell’Europa, l’Italia gioca un ruolo eccessivamente limitato anche rispetto alle proprie modeste possibilità. Il nostro commercio estero è una frazione di quello tedesco e si colloca ben al di sotto di quello francese.

Nello scorso anno abbiamo esportato in Cina beni e servizi per 13,5 miliardi di Euro, mentre la Francia ha raggiunto i 19 miliardi e la Germania ha superato gli 87 miliardi. Insomma commerciamo poco con la Cina e, soprattutto, non esportiamo abbastanza. Anche nei confronti del tracciato della Via della Seta, che pure nasce da un evocativa immagine italiana, siamo fino ad ora spiazzati perché la Via di Terra trova i suoi terminali soprattutto nel nord Europa mentre la Via del Mare, che anche nel futuro rimarrà dominante, ha fino ad ora trovato nel Pireo il suo punto di forza, appoggiando attività relativamente minori nei porti italiani.

I nostri scali sono infatti tra loro divisi e perciò incapaci di mettere in atto gli investimenti necessari per trattare e distribuire in modo concorrenziale l’enorme traffico di merci tra l’Europa e l’Oriente anche se, da circa un anno, sembrano dare qualche segno di risveglio. <EN><EN>Il fatto che il Ministro dell’Economia sia stato accompagnato in Cina da alcune tra le poche grandi imprese italiane (come Snam e Fincantieri) è certo di buon auspicio ma, per un paese formato soprattutto da imprese di minori dimensioni come l’Italia, il ruolo del governo come protagonista dei rapporti con la Cina rimane insostituibile. <EN><EN>È quindi già un risultato rilevante che il nostro Ministro dell’Economia abbia potuto avere colloqui a un livello che è generalmente riservato ai Primi Ministri. Non crediamo però che questo rappresenti una premessa all’acquisto consistente di nostri buoni del Tesoro da parte della Cina in un momento in cui i possessori stranieri sono più propensi a venderli che ad acquisirli. Si deve infatti tenere presente che il governo cinese non ha un comportamento diverso da quello dei possessori di fondi. Esso guarda soltanto alla propria convenienza, così come ha fatto con la precedente crisi dell’Euro, durante la quale si è tenuto prudentemente lontano dalla nostra moneta.

<EN><EN>Durante il viaggio di Tria in Cina si è addirittura (anche se opportunamente) messo in atto un processo inverso, dato che la Banca d’Italia ha deciso di immettere nelle nostre riserve una quantità di valuta cinese pari a 300 milioni di Euro.
Una cifra modesta, inferiore agli 800 milioni acquistati dalla Banca di Francia ma, ugualmente, un opportuno messaggio in appoggio all’internazionalizzazione dello Yuan. Penso tuttavia che il compito più difficile del ministro Tria sia stato quello di spiegare ai cinesi quali siano le future linee del governo italiano riguardo ai problemi che più influiscono sui rapporti fra Italia e Cina, come la politica nei confronti delle nazionalizzazioni o delle concessioni, dato l’interesse dimostrato dalle imprese cinesi nell’investire nel nostro sistema infrastrutturale. E ancor più: ai governanti del Celeste Impero interessa sapere se la politica italiana avrà l’obiettivo di tenere saldamente un ruolo attivo nelle istituzioni europee e nella moneta unica o se sceglierà invece un processo di progressivo isolamento. Bisogna perciò concludere che il compito più difficile del Ministro dell’Economia per mettere a frutto i risultati della sua missione in Cina deve ancora cominciare perché tale compito si dovrà svolgere a Roma. A Pechino si limiteranno a trarne le conseguenze.
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