Kerry, ristorante e superscorta: una via di Roma militarizzata

di Mario Ajello
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Lunedì 15 Dicembre 2014, 22:24 - Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 00:16
Roma come Bogotà. O come Karachi? O come Beirut? Oppure Roma come qualsiasi altra capitale da mondo coloniale, e da romanzo spionistico-politico di Graham Green («L’americano tranquillo») o di Eric Ambler, in cui appena arriva il delegato statunitense viene militarizzata la città che lo ospita, con gli agenti della sicurezza dappertutto? Più o meno così, ieri, è stata Roma. E tutto per colpa di un piatto di pasta che John Kerry, segretario di Stato americano, all’ora di pranzo si è andato a gustare da Tullio.



La strada del ristorante, via San Nicola da Tolentino, bloccata da sopra (lato via Bissolati) e da sotto (su piazza Barberini), e probabilmente pure da dentro (un kamikaze dell’Isis potrebbe spuntare da qualsiasi tombino o dalla pentola a pressione della trattoria), dagli agenti della security e dell’intelligence a stelle e strisce e dalle forze dell’ordine italiane. Una colonna di venticinque auto blindate e van anti-terrorismo, nostrani e targati Oltreoceano, che lungo tutto il selciato ostruisce il passaggio e isola la zona (manca soltanto il Check-point Charlie) come accade nei teatri di guerra. Passanti intimoriti da tutto questo spiegamento di forze intorno a un buon pasto. Automobilisti arrabbiati perchè il traffico è andato in tilt. Assennati cittadini dell’Urbe che commentano davanti alla scena: «I 30 metri, che dividono l’ambasciata americana dal ristorante Tullio, Kerry non poteva percorrerli a piedi in compagnia di qualche gorilla e si evitava tutto questo spettacolo?».

Veniva da chiedersi se, da un momento all’altro, sarebbe arrivato da Foggy Bottom un drone teleguidato per difendere meglio Kerry con la forchetta in mano o se sarebbe atterrato all’improvviso sull’adiacente fontana del Bernini l’Air Force One con dentro il presidente degli Stati Uniti, pronto a prelevare Kerry e a portarlo in salvo verso Washington.



Neanche quando a Roma è venuto Obama si è registrato tutto questo caos da iper-sicurezza invasiva e non selettiva e Barack risultò più discreto rispetto al suo capo della diplomazia. Neppure quando a George Bush si ruppe la limousine presidenziale in mezzo a via del Tritone, e lui restò a piedi, si ebbero - ed era ancora vivo Osama Bin Laden - tutte queste scene da affanno securitario e da film hollywoodiano.



Con Kerry, lo spiegamento di forze da Paese militarizzato si è avuto anche l’altra sera quando John è andato a cena, sempre in pieno centro a Roma, in via Monserrato, al ristorante Pierluigi.

E la domanda che s’impone è semplice: chi è il responsabile della sicurezza che pianifica i sistemi di controllo e la rete di protezione per rappresentanti di altre nazioni in visita di lavoro nella nostra Capitale? Naturalmente, Roma come grande palcoscenico di negoziati globali - in questo caso Kerry con il premier israeliano Netanyhau e Kerry con il ministro russo Lavrov - è una città perfetta e i romani sono orgogliosi di ospitare prestigiosi appuntamenti di questi tipo. Tante volte la grande politica mondiale ha fatto tappa qui da noi e così dovrà essere ancora.



Ma gli standard di sicurezza per questi eventi, necessariamente e giustamente assai elevati, dovrebbero essere tarati sulla base della pericolosità del luogo prescelto. Roma non è Kabul. E far digerire così pesantemente ai suoi cittadini, e alla sua immagine, il piatto di maccheroni consumato da un leader straniero ha il sapore della beffa.