La strada del ristorante, via San Nicola da Tolentino, bloccata da sopra (lato via Bissolati) e da sotto (su piazza Barberini), e probabilmente pure da dentro (un kamikaze dell’Isis potrebbe spuntare da qualsiasi tombino o dalla pentola a pressione della trattoria), dagli agenti della security e dell’intelligence a stelle e strisce e dalle forze dell’ordine italiane. Una colonna di venticinque auto blindate e van anti-terrorismo, nostrani e targati Oltreoceano, che lungo tutto il selciato ostruisce il passaggio e isola la zona (manca soltanto il Check-point Charlie) come accade nei teatri di guerra. Passanti intimoriti da tutto questo spiegamento di forze intorno a un buon pasto. Automobilisti arrabbiati perchè il traffico è andato in tilt. Assennati cittadini dell’Urbe che commentano davanti alla scena: «I 30 metri, che dividono l’ambasciata americana dal ristorante Tullio, Kerry non poteva percorrerli a piedi in compagnia di qualche gorilla e si evitava tutto questo spettacolo?».
Veniva da chiedersi se, da un momento all’altro, sarebbe arrivato da Foggy Bottom un drone teleguidato per difendere meglio Kerry con la forchetta in mano o se sarebbe atterrato all’improvviso sull’adiacente fontana del Bernini l’Air Force One con dentro il presidente degli Stati Uniti, pronto a prelevare Kerry e a portarlo in salvo verso Washington.
Neanche quando a Roma è venuto Obama si è registrato tutto questo caos da iper-sicurezza invasiva e non selettiva e Barack risultò più discreto rispetto al suo capo della diplomazia. Neppure quando a George Bush si ruppe la limousine presidenziale in mezzo a via del Tritone, e lui restò a piedi, si ebbero - ed era ancora vivo Osama Bin Laden - tutte queste scene da affanno securitario e da film hollywoodiano.
Con Kerry, lo spiegamento di forze da Paese militarizzato si è avuto anche l’altra sera quando John è andato a cena, sempre in pieno centro a Roma, in via Monserrato, al ristorante Pierluigi.
E la domanda che s’impone è semplice: chi è il responsabile della sicurezza che pianifica i sistemi di controllo e la rete di protezione per rappresentanti di altre nazioni in visita di lavoro nella nostra Capitale? Naturalmente, Roma come grande palcoscenico di negoziati globali - in questo caso Kerry con il premier israeliano Netanyhau e Kerry con il ministro russo Lavrov - è una città perfetta e i romani sono orgogliosi di ospitare prestigiosi appuntamenti di questi tipo. Tante volte la grande politica mondiale ha fatto tappa qui da noi e così dovrà essere ancora.
Ma gli standard di sicurezza per questi eventi, necessariamente e giustamente assai elevati, dovrebbero essere tarati sulla base della pericolosità del luogo prescelto. Roma non è Kabul. E far digerire così pesantemente ai suoi cittadini, e alla sua immagine, il piatto di maccheroni consumato da un leader straniero ha il sapore della beffa.