Isis, missioni italiane ad alto rischio: incursioni dietro le linee nemiche

Isis, missioni italiane ad alto rischio: incursioni dietro le linee nemiche
di Marco Ventura
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Mercoledì 19 Ottobre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 20:25
La battaglia per Mosul non vedrà soldati italiani sul terreno confrontarsi faccia a faccia con le bande nere dell’Isis. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, spiega in Tv a “Otto e Mezzo” che non ci sono pericoli particolari per il contingente italiano a protezione degli operai della “Trevi” sulla diga di Mosul, in Iraq.

«La ripresa di Mosul è da fare con estrema attenzione. Non ci sono truppe italiane. Sono curdi, e iracheni sciiti e sunniti». La riconquista della città «verrà fatta dall’esercito iracheno». Ci sono, sì, sul terreno, forze americane, francesi, olandesi e altri ancora. Ma la bandiera dell’Iraq sarà piantata da iracheni. Nessun italiano in prima linea. Quanto alla diga, «non è vicina alla città», è a una trentina di chilometri. «Ci sono tensioni e rischi, quindi abbiamo previsto un dispositivo di sicurezza che permetta di stare tranquilli ai nostri militari e agli operai che ci lavorano».

MARGINE DI RISCHIO
Eppure, un margine di rischio anche alto c’è, è quello delle missioni che gli alleati potrebbero chiederci per il soccorso e il recupero dei feriti, oltre la linea. «In campo avverso». Per questo sono impiegati 130 uomini a Erbil, a supporto di 8 elicotteri, 4 Mangusta da combattimento con fucilieri dell’Aeronautica a bordo, e 4 Nh-90. Erbil è a 80 chilometri dal teatro della battaglia per Mosul. In mezz’ora gli elicotteri possono arrivare sul posto.
Ruolo importante e difficile, nel quale gli italiani subentrano a una squadra americana. I 130 comprendono piloti e fucilieri, ma anche tutti gli addetti alla manutenzione fino al meccanico che avvita il bullone. In tutto, in Iraq, sono dispiegati 1400 italiani: 470 a difesa non della diga di Mosul, protetta dalla sicurezza irachena, ma del personale della ditta italiana che ci lavora. L’unico rischio, qui, è l’attentato terroristico. Non è prevedibile che il fronte si sposti fino a minacciare le postazioni italiane.

Anzi, è in atto l’offensiva dei peshmerga curdi e dell’esercito iracheno, che dovrebbe allontanare ulteriormente il pericolo di incursioni dell’Isis.

L’impegno del nostro paese prevedeva quattro fasi. La prima, completata al 20 agosto 2014, di “supporto umanitario” con 45 unità di protezione e gli equipaggi di volo per il trasporto e la consegna di materiale umanitario. La seconda, pure completata, per la fornitura di armi alle forze di sicurezza irachene e alle milizie volontarie, con 30 uomini tra equipaggi di volo, “force protection” (FP) e aviorifornitori. Infine, dopo una terza fase di dispiegamento, la quarta, da ottobre 2014, con la costituzione della Task Force Air, circa 280 uomini in Kuwait per lo schieramento di un velivolo da rifornimento in volo KC 7672 e due droni Predator, più 4 Tornado.

Attualmente, gli italiani sono leader nell’addestramento delle forze di sicurezza curde e dei militari iracheni. Nella capitale, Baghdad, ci sono i carabinieri, considerati i migliori al mondo nel loro settore. A Erbil opera personale dell’esercito inquadrato nella Task Force Land, costituita nel gennaio 2015 nel centro di coordinamento per l’addestramento del Kurdistan. Alternatamente il comando è per 6 mesi italiano e 6 tedesco. Dall’8 giugno sventola il Tricolore e vi partecipano gli addestratori di 9 nazioni. L’Italia impiega 200 militari, di cui 120 istruttori.

LE FORZE SPECIALI
A Baghdad e Kirkuk ci sono invece uomini delle forze speciali di tutte le forze armate, che addestrano i militari iracheni del servizio anti-terorrismo, oltre alle forze speciali curde. La Task Force dei carabinieri a Baghdad conta 90 uomini che istruiscono gli agenti della polizia federale irachena destinati a operare nei territori liberati dall’Isis: il problema non è solo riconquistare, ma stabilizzare. Il recupero dei feriti (Recovery Personnel) sostituisce una unità statunitense, servirà a estrarre dal territorio nemico militari della coalizione rimasti isolati sul terreno in zone ostili. Infine, c’è il presidio a difesa degli operai della Trevi, la Task Force Presidium. Sono 470, ma potrebbero salire a cinquecento.

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