L’Isis colpisce, ma il jihadismo sta perdendo

di Alessandro Orsini
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Martedì 29 Marzo 2016, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 17:34
L’Isis sta morendo, lentamente, ma inesorabilmente. Il 2014 è stato l’anno della sua ascesa, ma l’anno dopo ha subito soltanto sconfitte. Nel gennaio 2015 ha perso la battaglia di Kobane, la città siriana, al confine con la Turchia, difesa dai curdi; il 17 aprile ha perso Tikrit, in Iraq, e il 22 ottobre ha perso anche Baiji, sede di un’importante raffineria di petrolio. Il 13 novembre, nel giorno della strage di Parigi, ha perso Sinjar e, il 22 dicembre, ha perso Ramadi.
Nuovo anno, nuove sconfitte. Nel gennaio 2016 l’Isis ha ridotto del 50% gli stipendi a Raqqa e ha introdotto la misura del pane calmierato. Pochi giorni fa l’esercito di Bassar al Assad ha riconquistato la città di Palmira. Se l’Isis sta morendo lentamente, ma inesorabilmente, perché pensiamo che sia sempre più forte? Perché siamo vittime della trappola illusionistica dell’Isis, che sta seguendo la condotta tipica delle organizzazione jihadiste impegnate a costruire il califfato sul proprio territorio. Quando arretrano in casa, realizzano attentati all’estero per raggiungere due obiettivi. Il primo è quello di convincere i governi ad abbandonare la lotta contro il terrorismo.

Accadde l’11 marzo 2004, con i 191 morti della strage qaedista ai treni di Madrid, che spinse il governo Zapatero a ritirare subito le truppe spagnole dall’Iraq. Il secondo obiettivo è quello di far credere ai propri simpatizzanti di essere forti, affinché il numero dei foreign fighters non diminuisca, come accade quando un’organizzazione jihadista assume un’immagine perdente.

 
L’impressione è che l’Isis sia sempre più forte e possa colpirci in qualunque momento. Ma non è così. Se poniamo a confronto la strage di Parigi con quella di Bruxelles, possiamo capovolgere le interpretazioni dominanti e tornare alla realtà. Dal confronto tra le due stragi, balza agli occhi che abbiamo drasticamente ridotto le capacità operative dell’Isis. A Parigi l’Isis utilizzava un commando di dieci uomini che, divisi in tre gruppi, realizzava attentati in sei punti diversi della città. I jihadisti, oltre a indossare le cinture esplosive, sparavano con i mitragliatori, che sono stati l’arma decisiva. La gran parte dei morti di Parigi, infatti, è caduta sotto i proiettili, e non a causa delle bombe. 
Dal momento che un’organizzazione jihadista ha un interesse a realizzare stragi sempre più sanguinose, la domanda è: perché l’Isis ha utilizzato tre kamikaze a Bruxelles? La risposta è semplice: perché non ne aveva più di tre e, infatti, ha ucciso 31 persone contro le 130 di Parigi. Aggiungo che i kamikaze di Bruxelles hanno colpito senza mitragliatori. Se fondiamo le nostre analisi sui fatti, anziché sulle emozioni, possiamo liberarci da molte paure, alimentate senza fondamento. Se l’Isis ha utilizzato lo stesso artificiere per realizzare le stragi in Francia e in Belgio, vuol dire che ne ha uno solo. Ecco perché tra la prima e la seconda strage sono passati 129 giorni. Quando ha colpito, ha realizzato una strage molto meno sanguinosa e complessa di quella precedente. 
Se al Baghdadi dimezza gli stipendi a Raqqa, e introduce la misura del pane calmierato, vuol dire che ha meno soldi da investire per colpire le nostre città. L’immagine corretta è quella di un corpo che si dimena mentre viene strangolato. Ai lettori pongo una domanda: se la coalizione guidata dagli Usa ha ucciso 25 mila miliziani dell’Isis, e l’Isis ha ucciso 161 cittadini europei a Parigi e Bruxelles dopo avere perso il 40% del suo territorio, chi sta vincendo? Ciò che accadrà nei prossimi mesi è facilmente prevedibile. Se Stati Uniti, Russia, Iran, Turchia, Arabia Saudita e Qatar si accorderanno per spartirsi la Siria, smetteranno di combattersi tra di loro e rivolgeranno le armi contro Raqqa e Mosul. Il blocco guidato da Putin marcerà contro Raqqa, in Siria, che rimarrà infeudata alla Russia. Il blocco guidato da Obama marcerà contro Mosul, in Iraq, che rimarrà infeudato agli Stati Uniti, pur avendo buoni rapporti con Iran e Russia. 
Se Raqqa continua a essere governata da al Baghdadi è soltanto perché la guerra civile in Siria ha impedito la sua riconquista, per una decisione politica di Obama e Putin, che riassumo in una formula: «Damasco è più importante di Raqqa». L’Isis sta morendo. Ecco perché ci colpisce.

 
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