L’ombra dell’Isis si allunga sull’intesa Turchia-Israele

di Fabio Nicolucci
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Mercoledì 29 Giugno 2016, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 00:14
L’attentato che ha sconvolto Istanbul ieri sera è l’ultimo di una vecchia serie o il primo di una nuova? Dopo la conta dei morti e il lavoro dei soccorritori e dei medici, questa è la domanda alla quale occorrerà dare una risposta se si vuole approntare una efficace risposta e strategia difensiva. 

La Turchia ha infatti visto negli ultimi tempi una numerosa serie di sanguinosi attentati. Sia ad opera dell’Isis sia dei curdi più irriducibili. I primi venivano dal vicino teatro di guerra della terribile guerra siriana, uno scenario regionale con implicazioni globali, dove è infatti presente l’Isis e la sua strategia di morte globale insieme a molti attori reginali, nascosti o evidenti. Ma molti sono stati invece opera della frangia curda più irriducibile, che a fatica aveva per qualche tempo scelto di desistere dalla sua tradizionale scelta terroristica, per poi rinnegarla sia per la spinta di una dialettica interna tra “militari” e politici” sia per una risposta condizionata dalla svolta autoritaria di Erdogan, suggellata dalle seconde elezioni politiche dell’autunno scorso che gli hanno consegnato le chiavi del paese, dopo lo stallo seguito a quelle interlocutorie dell’estate. Se fosse questa l’origine e la casa dei mandanti dei quattro kamikaze che si sono fatti esplodere nell’aeroporto d Istanbul, la dinamica di questo attentato è l’ultimo di una lunga e purtroppo annosa serie, che segue dinamiche locali e processi politici più turchi che regionali o globali, malgrado la Turchia abbia fatto di tutto per regionalizzare suo malgrado questo conflitto con la lotta anche ai curdi siriani oltre che turchi, i quali si sono conquistati uno spazio nel conflitto con l’Isis con l’eroica resistenza a Kobane. Se invece si tratta dell’Isis, le cose cambiano. Perché non può sfuggire che questo attentato è il primo dopo la Brexit e l’instabilità che ne sta venendo, e dunque può essere il tentativo di leggere in filigrana e interpretare “politicamente” le difficoltà di un continente a cui comunque la Turchia, non solo e non tanto per l’accordo sui migranti quanto per la sua appartenenza alla Nato e i suoi legami storici – colpevolmente negati e rimossi dalla stessa Europa matrigna – appartiene. Se dunque l’aeroporto di Istanbul si rivelerà uno scalo di quello di Bruxelles e non di Baghdad – dove l’Isis sta ricevendo colpi assai duri e potrebbe aver deciso di mandare qualche cellula a colpire lì dove è in grado, cioè nella regione – all’orrore per queste ennesime morti di civili e viaggiatori innocenti si aggiungeranno brividi freddi lungo la schiena dei governanti europei e occidentali. Perché magari ci sarà il tentativo di giustificare in questo caso l’attentato come una rappresaglia per il recente accordo della Turchia con Israele, siglato proprio a Rom due giorni fa, a chiudere la rottura dei rapporti fino ad allora eccellenti dovuta alla crisi della navi Maramara davanti Gaza. Ma in ogni caso, in questo caso, non sarà possibile farsi illusioni. Vorrà dire che l’Isis avrà deciso di “esternalizzare” il conflitto, per tentare di leggere la fase e colpire lì dove gli sembra la resistenza possa essere più lenta. E dunque ad essere chiamata in causa sarà l’Europa, con una urgenza in più a sciogliere i nodi aggrovigliati dalla Brexit e dalla questione dei migranti, e l’occidente, con la necessità di varare una risposta anche politica e diplomatica nella lotta all’Isis, da affiancare a quella che militarmente si sa portando avanti ora a Falluja e tra poco a Mosul.

 
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