Evidentemente Trump ha pensato che gli interessi di politica interna fossero superiori ai pericoli di carattere internazionale.
In primo luogo per la debolezza dell’autorità palestinese e lo scarso rilievo dei suoi leader, a cominciare da Abu Mazen, che non ha certo il prestigio e la forza del suo predecessore. In secondo luogo Trump conta sul fatto che, dopo un infinito periodo di emarginazione e di frustrazione, la capacità di ribellione del popolo palestinese appare molto affievolita e, certamente, assai inferiore a quanto avvenuto in passato.
La stessa città di Gerusalemme è sempre più dominata, con rapporti di forza del tutto sbilanciati, dalla presenza israeliana.
Sulla debolezza della reazione palestinese Trump ha, almeno fino ad ora, avuto sostanzialmente ragione. Episodi di ribellione e di violenza vi sono stati, così come manifestazioni e cortei antiamericani e antiisreliani in tutte le città del Medio-Oriente. Sono stati tuttavia (almeno fino al momento presente) episodi minori rispetto a quanto abbiamo visto nelle “intifada” del passato.
In primo luogo la reazione dei maggiori paesi europei è stata negativa ed unitaria come mai era stata nei confronti di una importante presa di posizione degli Stati Uniti. Francia, Italia e Germania e perfino la Gran Bretagna, così corteggiata in occasione della Brexit, si sono opposte alla decisione di Trump. E lo hanno fatto con forza, ribadendo che Gerusalemme non è la capitale di Israele ma di due nazioni e che il suo “status” può essere deciso solo da negoziati tra israeliani e palestinesi.
Una reazione così robusta non alleggerisce certo le tensioni già esistenti fra i maggiori paesi europei e gli Stati Uniti. Anche se Trump tiene poco conto dell’Europa non sono certo decisioni di questo tipo che possano favorire rapporti più costruttivi.
Il mondo islamico, tradizionalmente così frammentato è infatti quasi obbligato a trovare una sua compattezza di fronte al tentativo di mutare lo “status” di Gerusalemme, città da tutti ritenuta sacra e simbolica. Tirando le somme mi sembra che, almeno fino ad ora, la decisione di Trump gli abbia dato ben pochi risultati positivi. È assai probabile che gli sia stata di giovamento nei rapporti politici interni in un momento per lui assai complicato, ma certamente ha accentuato l’imprevedibilità e l’isolamento della politica americana proprio in un periodo in cui si vanno riorganizzando i rapporti di forza nello scacchiere internazionale. Mi auguro solo che queste decisioni così convulse e così fondate su esclusivi obiettivi di politica interna non mettano ulteriormente a rischio gli equilibri necessari ad evitare l’esplosione del Medio Oriente.
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