Interessi nazionali/L’equilibrio necessario nei rapporti italo-francesi

di Romano Prodi
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Domenica 1 Ottobre 2017, 00:14
Cose nuove stanno accadendo nell’industria europea. Dal tempo dei campioni nazionali, nel quale si cercava soprattutto di mettere insieme le grandi imprese di un solo Paese, si sta passando alla creazione dei campioni europei, capaci di utilizzare la forza dell’intero continente per fronteggiare la concorrenza americana e cinese. Esemplare di questa nuova strategia è la fusione tra la Alstom e la Siemens nel settore ferroviario e, pur con tanti punti interrogativi, il faticoso accordo fra l’italiana Fincantieri e i Cantieri francesi di Saint Nazaire. Un accordo in cui tutti hanno cantato vittoria. Dal punto di vista politico forse tutto questo è vero.

Dal punto di vista economico le riserve sono tante: l’Italia aveva comprato da un’impresa coreana il 66,7% di quei cantieri, aveva ricevuto il disco verde del presidente Hollande per conservare questa maggioranza ma, successivamente, Macron ha acceso il semaforo rosso fino a che non si è arrivati a un complicato compromesso per cui Fincantieri avrà una maggioranza dell’1% ma solo per dodici anni, durante i quali dovrà essere sottoposta a ripetuti controlli e ad un vero e proprio diritto di veto da parte francese riguardo a tutte le principali decisioni strategiche. Insomma, di fatto, si tratta di una sostanziale parità.


Un compromesso che salva la faccia a tutti dal punto di vista politico ma che renderà complicatissime le decisioni strategiche future di un’impresa che dovrà operare sotto un duplice comando. 
<TB>Acuti analisti della politica francese hanno osservato che questo era l’unico risultato possibile: il governo oltralpino non avrebbe infatti mai potuto permettere di lasciare sotto controllo straniero un cantiere capace, se necessario, di produrre le grandi navi portaerei. 
<TB>Tutto ragionevole se nello stesso tempo un imprenditore francese non avesse di fatto preso il controllo della nostra maggiore compagnia telefonica, ben più strategica per la nostra economia di un qualsiasi cantiere navale. Si è aperta naturalmente una controversia senza fine sul fatto che si tratti di un’impresa privata e che l’azionista francese Vincent Bolloré non possiede la maggioranza delle azioni e non ha quindi potere di comando dell’azienda. Se non che, per evitare ogni dubbio, Bolloré ha piazzato uomini di sua completa fiducia in tutti i ruoli più importanti della Tim. Se aspettiamo qualche altro giorno sostituirà perfino il portinaio, pur sostenendo che, giuridicamente, non ha il potere di comando perché non possiede la maggioranza assoluta delle azioni. Tutto questo avviene dopo che da parte francese si è acquistata la parte più preziosa del sistema di alta moda italiano e una fetta consistente del sistema finanziario e bancario, senza parlare dell’alimentare, del ferroviario e così via. 
<TB>Non si può liquidare il giudizio su questi eventi ripetendo semplicemente che sono inevitabili conseguenze del mercato. Prima di tutto perché, nello specifico caso francese, le imprese sono spesso robustamente sostenute dallo stato e in ogni caso da esso strategicamente guidate. In secondo luogo perché il nuovo oligopolio europeo non può essere formato da imprese appartenenti a pochissimi paesi, togliendo agli altri anche il controllo delle reti che ne presidiano gli aspetti più delicati, come la sicurezza, la privacy o il funzionamento dei servizi essenziali. Tutto questo potrà (e forse dovrà) avvenire in futuro ma solo in parallelo al progresso dell’integrazione europea. 

<TB>Ritornando a oggi, il governo francese, nel caso dei cantieri navali, ha dimostrato di proteggere quelli che definisce interessi nazionali anche cancellando accordi ufficialmente presi. Credo che, a maggior ragione, non sia certo contro gli obiettivi europei che il governo italiano conservi nel paese almeno una parte essenziale degli strumenti necessari per garantire ai propri cittadini l’esercizio dei loro essenziali diritti. Per esprimere in modo ancora più chiaro la mia preoccupazione, penso che il nuovo equilibrio fra le grandi imprese europee non possa essere portato avanti in modo talmente asimmetrico da provocare poi pericolose reazioni popolari nei paesi che si sentono emarginati dalle decisioni che influiscono in modo determinante sul proprio destino.

<TB>Se la costruzione europea deve essere fondata (come io penso) su un tollerabile equilibrio fra i diversi paesi, occorre prestare la massima attenzione a non eccedere nel creare squilibri che, in futuro, possono determinare situazioni intollerabili e, quindi, esiti politici o sociali imprevedibili.
<TB>Per concludere: penso che sia molto importante costruire una solida amicizia fra Francia ed Italia anche perché ne trarranno vantaggio non solo entrambi i paesi ma tutta la costruzione europea. Credo tuttavia che nessuna solida amicizia possa essere fondata su un’eccessiva disparità di comportamenti
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