La notizia, riportata da moltissimi siti di informazione statunitensi, rappresenta un grande passo avanti e un grande esempio per tutti quei paesi africani dove tale pratica è ancora diffusa e dove, oltre a mutilare e segnare psicologicamente la vita di molte donne, causa infezioni e malattie che possono condurre rapidamente alla morte.
Secondo un rapporto del 2013 dell'Unicef oltre 125 milioni di ragazze e donne nel mondo sono state sottoposte alla mutilazione genitale femminile. La maggior parte di queste vive in 29 paesi di cui solo 2 non si trovano in Africa.
In Nigeria il 27% delle donne è stata privata di parte o di tutto il clitoride. In paesi come Somalia e Guinea la percentuale sale addirittura al 95%. Una violazione dei diritti e della dignità umana che, nonostante i sforzi in termini di educazione e sostegno sanitario da parte dei paesi occidentali, continua a essere difesa da molte società africane e, in alcuni casi, persino dalle stesse donne che la subiscono.
La condanna nei confronti della mutilazione genitale femminile in Nigeria può dunque essere letta come uno strumento di politica internazionale in un momento di grande complessità per il paese. Ma per le figlie e le nipoti di quei venti milioni di nigeriane cui è stata negata una femminilità completa rappresenta una possibilità in più e, forse, anche una conquista da opporre con forza ed orgoglio, a quel movimento che le minaccia, le rapisce, le converte con la forza in nome di quel motto contenuto nel suo stesso nome, Boko Haram, tradotto in italiano "l'educazione occidentale è proibita".
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