In Libia Gheddafi bombarda i manifestanti:
raid aerei su Tripoli e Bengasi, 250 morti

Una vittima degli scontri in Libia (Emmevi)
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Lunedì 21 Febbraio 2011, 09:26 - Ultimo aggiornamento: 23 Marzo, 00:26

ROMA - Non si placa la rivolta in Libia, nonostante la sanguinosa repressione e il paese scivola verso la guerra civile. Nel pomeriggio l'aviazione ha bombardato i manifestanti in piazza a Tripoli, dove nel mattino si contavano gi 61 morti, saliti nel pomeriggio a 250. Intorno alle 22,30 Al Arabiya ha annunciato come imminente un discorso televisivo di Gheddafi, ma dopo la mezzanotte la tv di stato trasmetteva ancora un balletto in costume.

Centinaia di migliaia di persone (alcune fonti parlano di un milione) si erano radunate sulla Piazza Verde. La polizia ha aperto il fuoco sulla folla. Secondo la tv di stato i raid aerei su Tripoli fanno parte di operazioni contro covi di sabotatori e terroristi. Nella capitale sono stati incendiati i palazzi del potere. In giornata si era diffusa la voce che diverse città, tra cui Bengasi e Sirte, erano finite nelle mani dei manifestanti dopo le defezioni nell'esercito. Ma alcuni testimoni hanno smentito. Il ministro della Giustizia si è dimesso in segno di protesta «per l'eccessivo uso di violenza contro le manifestazioni». In tutto il paese sono interrotte le comunicazioni telefoniche.

L'aeronautica libica ha preso di mira i dimostranti sulla via al Gumhuriya che porta alla Piazza Verde, bombardando manifestanti che si dirigevano verso una base militare per procurarsi munizioni. Sul terreno le forze di sicurezza sparano contro i dimostranti diretti verso il compound di Gheddafi. Ahmed Elgazir, un operatore per la difesa dei diritti umani, ha affermato che la Libyan News Centre di Ginevra ha ricevuto una telefonata di richiesta d'aiuto da parte di una donna «testimone del massacro in corso e che è riuscita a chiamare tramite un telefono satellitare».

Nuovi raid aerei si sono registrati in serata a Tripoli. Secondo Al Jazeera caccia militari hanno attaccato gruppi di manifestanti in via della Jamahiriya nella capitale. Fonti dell'esercito libico, citate da al Arabiya sostengono che i vertici delle forze armate hanno ordinato di eseguire entro due ore un raid aereo su Bengasi.

«L'aeronautica ha bombardato alcuni depositi di armi situati in zone lontane dagli insediamenti urbani», ha scritto stasera la tv libica citando una dichiarazione di Seif al-Islam all'agenzia ufficiale libica Jana. Seif al-Islam ha negato «le informazioni secondo cui l'aeronautica avrebbe bombardato le città di Tripoli e Bengasi».

Voci di golpe militare. Fonti libiche hanno fatto sapere ad Al Jazeera che all'interno dell'esercito vi sarebbero grandi tensioni, al punto da poter prevedere che il capo di stato maggiore aggiunto, El Mahdi El Arabi, possa dirigere un colpo di stato militare contro il colonnello Muhammar Gheddafi, al potere da un quarantennio. Un gruppo di leader musulmani libici ha detto che la rivolta contro la leadership è un dovere divino di ciascuno. Annunciata e poi smentita in serata la chiusura dello spazio aereo su Tripoli.

«Molte città sono cadute, in particolare nell'est e sulla costa. Alcuni militari si sono uniti» alla protesta contro il regime di Gheddafi, ha detto la presidente della Fidh, Suhayr Belhassen, citando Bengasi, bastione dell'opposizione, e Sirte, città natale del colonnello Gheddafi. Sempre secondo la Belhassem le violenze durante le manifestazioni hanno causato «tra i 300 e i 400 morti, ma probabilmente siamo più vicini ai 400». Un'altra Ong, Human Rights Watch, parla invece di un bilancio di almeno 233 morti. Le informazioni della Fidh, basata a Parigi, provengono essenzialmente dalle leghe libiche per i diritti umani. Secondo queste stesse informazioni, Bab el Azizia, il campo dove vive Gheddafi alla periferia di Tripoli, sarebbe stato attaccato nella notte tra domenica e lunedì.

E' stata data alle fiamme la sede centrale del governo libico a Tripoli. Testimoni riferiscono di alte fiamme all'interno della sede del governo. Poco prima nella stessa zona è stata assaltata la sede della tv pubblica ed altre sedi istituzionali. Secondo un testimone sono in fiamme anche le sedi governative che si trovano nella piazza al-Shuhada.

A Tripoli notte di scontri tra manifestanti e militari, ma si segnala anche la presenza di milizie pro-Gheddafi. Secondo testimoni citati dai media africani, cecchini appostati sui tetti hanno aperto il fuoco contro i manifestanti che tentavano di avanzare verso il centro di Tripoli, nei pressi di Green Square. Altri testimoni parlano di spari con arma da fuco da auto in corsa, spiegando che negli scontri sono morti dei dimostranti ma senza fornire un numero esatto delle vittime.

Quattro delle principali tribù libiche stanno marciando su Tripoli per unirsi alla rivolta. Lo afferma un esule libico che ha chiesto l'anonimato per paura di rappresaglie. Non ha potuto precisare né di quanti uomini si tratti, né per quando è previsto il loro arrivo, ma ha riferito che la defezione delle tribù è un durissimo colpo per il regime che «è stato già mollato dall'esercito. L'esercito non esiste praticamente più, numerose fonti mi confermano che il capo delle forze armate ha rifiutato di cooperare alla repressione e ordinato ai suoi uomini di non sparare». E il sud è ormai praticamente «libero, fuori dal controllo di Gheddafi». Secondo Al Jazeera, i Tuareg, che in Libia sono mezzo milione, avrebbero accettato la «chiamata alle armi» della tribù Warfala, che conta oltre un milione di abitanti nel paese. Inoltre uno dei leader Warfala avrebbe dichiarato che Gheddafi «non è più un fratello» e deve lasciare il paese. E il capo della tribù Al-Zuwayya del deserto orientale avrebbe minacciato di interrompere le esportazioni di greggio se le autorità non porranno fine alla repressione.

Le voci sulla fuga di Gheddafi. Il colonnello potrebbe aver lasciato la Libia, secondo voci circolate oggi. Su un blog di Al Jazeera l'ambasciatore libico in Cina Hussein Sadiq al Musrati ha detto che Gheddafi potrebbe essere già partito. Gheddafi è ancora nel paese e non si è rifugiato in Venezuela, hanno smentito fonti libiche alla tv al Arabiya.

«Muammar Gheddafi sta guidando la lotta a Tripoli e vinceremo», ha detto il figlio del leader libico, quando in nottata per oltre 40 minuti ha parlato al paese. Saif al-Islam ha sostenuto che è in atto un «complotto» contro il suo paese da parte di un non meglio precisato «movimento separatista». Poi la minaccia: «L'esercito ora ha il compito di riportare l'ordine con ogni mezzo». Il figlio di Gheddafi ha negato nel suo discorso in tv al paese che nei disordini di questi giorni vi siano stati centinaia di morti ma ha ammesso che per la sua struttura tribale e per il petrolio la Libia potrebbe sprofondare nella guerra civile.

Il blocco delle comunicazioni. Dopo il blocco di internet, la Cnn, che ha trasmesso in diretta il discorso del figlio di Gheddafi, ha detto di non essere più in grado di collegarsi con i suoi «testimoni» a Tripoli e a Bengasi. Dopo le testimonianze rese al telefono da due manifestanti, i collegamenti sono saltati. L'emittente americana ha precisato di non poter confermare in modo indipendente quanto riferito dai testimoni perché «il governo libico mantiene uno stretto controllo sulle comunicazioni e non ha risposto alle ripetute richieste da parte della Cnn di poter avere accesso nel Paese».

Defezioni a macchia d'olio tra i diplomatici libici nel mondo: dopo le dimissioni ieri dell'ambasciatore di Tripoli presso la Lega Araba, oggi ha lasciato la delegazione libica all'Onu e il numero due della missione Ibrahim Dabbashi ha invocato un intervento internazionale contro quello che ha definito «un genocidio». Ma anche diplomatici in Cina, Regno Unito Polonia, India, Indonesia, Svezia e Malta, hanno abbandonato la nave di Gheddafi: il chiaro segnale che se questa non sta affondando è quantomeno alla deriva.

L'Unione europea «condanna» la repressione delle manifestazioni in Libia e chiede la «cessazione immediata» dell'uso della forza. Lo chiedono i 27 ministri degli Esteri Ue in una dichiarazione comune adottata oggi nella quale si chiede anche «a tutte le parti» di astenersi da ogni forma di violenza. «In particolare il Consiglio condanna la repressione in corso contro i dimostranti in Libia e condanna la violenza e la morte di civili». Gli Stati membri lanciano un appello «per un immediata fine dell'uso della forza contro i manifestanti» e invitano «tutte le parti a mostrare moderazione. La libertà di espressione e il diritto di riunirsi pacificamente sono diritti umani e libertà fondamentali di ogni essere umano che devono essere rispettati e tutelati. Le legittime aspirazioni e le richieste di riforma della popolazione devono essere esaminate attraverso un dialogo aperto, inclusivo, significativo e guidato dagli stessi libici, che potrebbe portare ad un futuro costruttivo per il Paese e per la popolazione. Incoraggiamo con forza tutte le parti a procedere in questa direzione».

In Libia la situazione «è molto grave: siamo sull'orlo di una guerra civile», ha detto il ministro degli esteri Franco Frattini, chiedendo che la ferma richiesta della Ue perchè cessino le violenze «sia ascoltata». La sorte di Gheddafi non sarà decisa nè dall'Italia nè dall'Europa, ha aggiunto Frattini. «Non siamo noi a dire chi deve restare chi se ne deve andare. Non lo abbiamo fatto nel caso di Mubarak e non cominceremo a farlo ora».

La posizione italiana sulla Libia, nel consiglio Ue, «non era isolata - ha detto Frattini - L'Italia non era isolata: c'è stata una posizione aperta. Ma possiamo metterla così: o l'Italia era così isolata ed è stata così forte da avere imposto a tutti la sua linea, oppure non era isolata. Noi ci riconosciamo nel documento approvato, in cui si sottolineano i concetti di cooperazione e di ownership e si rileva la necessità di essere rispettosi del processo nazionale là dove si dichiara che spetta al popolo di questo paese scegliere il proprio futuro». Ad una domanda se il governo italiano ha telefonato a Gheddafi, in considerazione dei rapporti di amicizia, Frattini ha risposto: «L'Italia si riconosce nelle conclusioni del consiglio Ue. Ognuno, per le sue possibilità, ha fatto la sua parte». Ciò significa - è stato chiesto - che avete telefonato a Gheddafi? «Ognuno ha fatto la sua parte», ha ribadito Frattini.

La Farnesina sconsiglia viaggi nel Paese, mentre il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi ha dichiarato che sono pronti piani di evacuazione dei cittadini italiani, circa 1500, che si trovano in Libia.

Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha parlato con Gheddafi, chiedendogli di cessare ogni violenza. Lo si legge in una nota diffusa dalle Nazioni Unite, che non precisa se il colonnello si trovi ancora in Libia. Ban Ki-moon, nel «lungo colloquio» avuto con Gheddafi, ha ribadito al leader libico «la necessità di rispettare le libertà basilari e i diritti umani, compresi quello all'informazione e all'assemblea pacifica». La nota diffusa dalle Nazioni Unite riferisce che Ban ki Moon e Gheddafi hanno avuto una «lunga discussione» telefonica sulla «situazione del Paese», una situazione «che sta deteriorando».

Berlusconi allarmato. Dopo le 20 Palazzo Chigi diffonde una nota nella quale si recita che «il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, segue con estrema attenzione e preoccupazione l'evolversi della situazione in Libia e si tiene in stretto contatto con tutti i principali partner nazionali e internazionali per fronteggiare qualsiasi emergenza. Il premier è allarmato per l'aggravarsi degli scontri e per l'uso inaccettabile della violenza sulla popolazione civile». Nella nota Palazzo Chigi aggiunge che «L'Unione Europea e la Comunità internazionale dovranno compiere ogni sforzo per impedire che la crisi libica degeneri in una guerra civile dalle conseguenze difficilmente prevedibili, e favorire invece una soluzione pacifica che tuteli la sicurezza dei cittadini così come l'integrità e stabilità del Paese e dell'intera regione».

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