Allarme del G20 sul fronte Brexit: «Sarebbe uno shock»

Allarme del G20 sul fronte Brexit: «Sarebbe uno shock»
di Anna Guaita
3 Minuti di Lettura
Domenica 28 Febbraio 2016, 09:24 - Ultimo aggiornamento: 09:27
NEW YORK - La volatilità non è sinonimo di crisi, e il G20 che si è concluso a Shangai chiarisce che «la ripresa mondiale continua», anche se non è ancora «forte, sostenibile ed equilibrata» come si vorrebbe. Tuttavia, a raffreddare le rassicurazioni arrivano precisazioni sugli ostacoli che potrebbero contribuire a un vero rallentamento. Alcuni sono ostacoli già noti, come il crollo del prezzo del petrolio, la fragilità cinese, l'allargarsi della crisi dei rifugiati. Altri sono trabocchetti che stanno prendendo forma solo ora e potrebbero materializzarsi o no, come la temutissima Brexit. Non c'è dubbio che alla conclusione dei due giorni di lavoro dei conferenzieri a Shangai, l'appuntamento con il referendum in Gran Bretagna il prossimo 23 giugno sia stato visto come l'elemento potenzialmente di maggior disturbo nei mesi a venire. La stessa Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario, che pure nei giorni precedenti al summit aveva presentato una lista di cause di allarme, ha detto di temerlo in particolare come «rischio di un possibile scivolone per l'economia mondiale» e ha rivelato che non appena il meeting dei 20 ha avuto inizio, la Brexit «è subito entrata nella discussione». Cioè è diventato argomento di primaria importanza, e per questo ha avuto un suo posto nel documento finale. Ma anche le stesse reazioni dei singoli leader presenti, come Jack Lew, segretario del Tesoro Usa, sono state estremamente rivelatrici. Lew ha alzato il tiro parlando di una ipotetica uscita del Regno Unito dall'Ue come di un rischio «per la sicurezza nazionale e per l'economia degli Stati Uniti, e del Regno Unito». Gli ha fatto eco il ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan, secondo il quale una simile uscita costituirebbe «uno shock geopolitico potente, uno shock negativo». Gli elettori britannici sono dunque stati fatti carico di una responsabilità che va oltre il futuro puro e semplice del loro Paese, ma include il benessere mondiale.

LA DECISIONE
La decisione è loro: «Appartiene agli elettori del Regno Unito» ha precisato correttamente Jack Lew. Ma in un'epoca, come ha scritto il Fondo Monetario, in cui «l'economia deve affrontare molte sfide», la Brexit sembra spaventare più di tutte le altre messe insieme. Forse perché le altre sembrano più pilotabili. Una domanda ricorrente ad esempio è stata come assicurarsi che l'economia continui a crescere quando le diffuse politiche espansive delle Banche centrali lasciano oramai poche pallottole di riserva ai governatori. Il documento ha però assicurato che le politiche monetarie «continueranno a sostenere l'attività economica e ad assicurare la stabilità dei prezzi», e saranno accompagnate da «riforme strutturali». Ad esempio, per l'Italia, il ministro Padoan ha asserito che «l'agenda delle riforme strutturali non si deve fermare, nè in termini di implementazione nè di elementi nuovi da aggiungere», e che anche il debito «va abbattuto» e «diminuirà», e dunque «in questo contesto si potrà consolidare la crescita, che continua ad essere sostenuta e sostenibile». Un altro elemento di ansia, già elencato dal Fondo Monetario, è la situazione cinese. E qui i padroni di casa sono stati molto fermi nello sforzo di rassicurare i loro interlocutori: il governatore della Banca Centrale Zhou Xiaochuan ha sostenuto che «i fondamentali restano solidi» e che la Cina è «entrata in una nuova normalità». Il ministro delle Finanze ha anzi assicurato che Pechino manterrà «una crescita medio alta» nel 2016, e che le «riforme strutturali avranno un effetto sostanziale». Alla fine nel documento del G20 non sono comparse promesse di azioni comuni, ma il dibattito è stato abbastanza solido e costruttivo da spingere il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, a reagire: «C'è stata un revisione del pessimismo che c'era all'inizio».