La Grecia va alle elezioni anticipate

di Oscar Giannino
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Lunedì 29 Dicembre 2014, 22:57 - Ultimo aggiornamento: 3 Gennaio, 20:36
Con la Grecia era cominciata l’eurocrisi cinque anni fa, e rieccoci. La cura imposta da Fmi, Ue e Bce ha fatto saltare ad Atene governi dopo governi. E malgrado il salvataggio sia arrivato a colpi di centinaia di miliardi di euro, le cifre sono tragiche: un 26% di Pil perso, un milione di occupati in meno dei 4,6 milioni del 2007, il 27% di disoccupati, emigrati che hanno superano il mezzo milione l’anno su una popolazione di poco superiore a 11 milioni. Ma fino a un mese fa tutto sembrava comunque gestibile dal punto di vista finanziario. Dal secondo trimestre 2014 la Grecia non è più in recessione.



Grazie ai poderosi tagli nel settore pubblico, l’avanzo primario sul Pil è superiore al 2%, migliore di quello italiano. La Grecia è tornata in aprile, per la prima volta dal 2009, a emettere sui mercati un titolo pubblico di 5 miliardi di euro. Ma le riforme, i tagli e le privatizzazioni dovevano continuare tra proteste crescenti.



Non poteva durare il governo attuale di minoranza, guidato dal leader di Nea Demokratia di centrodestra Antonis Samaras, con l’appoggio esterno del Pasok socialista e di Dimar di sinistra riformista, più volte andato sotto dopo che i parlamentari del Pasok uscivano dal partito sotto la pressione delle piazze.



Per questo Samaras, d’accordo con la Commissione Juncker e la Merkel, ha tentato un colpo di forza. Ottenuta la prosecuzione dell’ombrello della Trojika per i soli primi due mesi del 2015, ha convocato a sorpresa le elezioni del nuovo capo dello Stato, per estendere la sua maggioranza da 155 membri ai 180 necessari per eleggerlo. Altrimenti sarebbe stato scioglimento del parlamento ed elezioni anticipate. Cioè il rischio concreto di riaprire l’eurocrisi, visto chi è in vantaggio nei sondaggi. Samaras ha perso, e il 25 gennaio ad Atene si voterà per l’ennesima volta. Nei sondaggi, oltre il 50% dei voti va a chi non ne può più dell’euro, sia pure tra destra e sinistra.



Tra gennaio 2010, quando fu ufficiale che il deficit annuale greco non era del 3,7% come dichiarato ma del 13%, e marzo 2012, Atene è stata beneficiaria di ben quattro diversi pacchetti di sostegno comuni, tra Ue e Fmi, per oltre 150 miliardi di euro. Ed è passata per due default del suo debito pubblico nel 2010 e 2011, non onorando i pagamenti dei suoi titoli in scadenza riacquistati da chi è corso in aiuto. A fine 2011, di fronte a un’ipotesi di accordo di abbattimento del 50% del suo debito pubblico, l’allora premier socialista Papandreou forzò la mano, annunciano un referendum popolare che sarebbe stato sicuramente perso per l’euro. L’Europa lo fece dimettere, e a un governo tecnico vennero concessi altri miliardi di euro di linee di credito in cambio di riforme vere.



Solo grazie alle due ristrutturazioni già avvenute il debito pubblico greco è attualmente al 177% del Pil. Nel senso che già nel 2011 era salito al 170% e oggi, con un PIl ridotto del 27%, sarebbe al 250%, se non si fosse intervenuti in aiuto. Ma la sua sostenibilità resta un problma. Nel 2015 non sono previste emissioni pubbliche sul mercato – per questo ieri il FMI ha detto che a questo punto si tratterà solo con nuovo governo dopo il 25 gennaio – ma 17 miliardi di titoli scadono comunque nel 2015, 7 nel 2016, 7 nel 2017. Senza sostegno della Trojka, per la Grecia significa tornare a deficit insostenibili per la sua economia reale in ginocchio.



Prima di rischiare e perdere, Samaras pare stesse trattando con Ue, Bce e Fmi una nuova linea di credito biennale, per 21 miliardi di euro divisa a metà tra le due rive dell’Atlantico. Poiché non avrebbe comunque intaccato la montagna di debito pubblico, pare anche che Samaras avesse aggiunto la richiesta di estendere di 20 anni la durata di tutti i titoli pubblici in mano europea senza aggravi d’interesse, equivalente a cancellare per circa 50 miliardi un sesto del debito greco attuale. Non ottenuto il via libera, Samaras ha tentato la forzatura. E ha perso.



Dopo il successo alle ultime europee con il 26% dei voti, la formazione oggi con oltre il 32% nei sondaggi è la sinistra antagonista di Syriza, che ha asciugato il Pasok ridotto a un 5%. Syriza e il suo leader Alexis Tsipras potrebbero crescere ancora. Il quesito è se sommata ai comunisti del Kke, alla sinistra estrema di Potami e a Dimar riuscirà a mettere insieme una maggioranza, visto che attualmente le tre formazioni insieme a stento arrivano al 9%. Dall’altra parte c’è Nea Demokratia che sembra reggere al 30%, i fascisti no euro di Alba Dorata oltre il 6%, la destra costituzionale del partito indipendente sul 5%. Di sicuro, i voti anti austerità e del no all’eurorigore sono in stragrande maggioranza: ma le estreme di destra e sinistra dovrebbero aggiungere i propri voti in parlamento.



Il programma di Syriza è netto: un terzo, massiccio default assistito della Grecia in 4 anni. Grazie alle due ristrutturazioni avvenute, attualmente dei 319 miliardi di debito pubblico greco solo 56 sono sul mercato in mano a privati, ben 205 sono detenuti da governi dell’euroarea, 27 miliardi dalla Bce, e 31 dal Fmi. Syriza chiede nel suo programma l’abbattimento ulteriore del 50% dei 232 miliardi detenuti da governi dell’euroarea e Bce. E che in più la Bce compri per 60 anni debito greco a interesse zero. Gli economisti che hanno elaborato il piano, George Stathakis e John Milios, sanno che è una provocazione. Ma pensano sia l’unico modo per far saltare l’eurorigore incentrato sul veto della Germania.



Se dicono no, i tedeschi costringono la Grecia fuori dall’euro. Ma spalancano così la porta ad altri, a cominciare dall’Italia. Syriza ha già annunciato lo stop a privatizzazioni e ai tagli pubblici, il ripristino delle assunzioni di Stato e delle tredicesime e pensioni saltate. Merril Lynch stima gli effetti in 28 miliardi di deficit in 2 anni, più 17 miliardi di oneri finanziari: cifre da capogiro per un Pil greco 8 volte inferiore a quello italiano.



Il mercato non ci crede. Finora i mercati non credono allo tsunami. Lo spread italiano è risalito a 145 punti, 30 punti più di quello spagnolo. Ma molti analisti ritengono che o Syriza non ce la farà, oppure Europa e Germania tratteranno con Tsipras duramente, ma alla fine accollandosi oneri che sono sì pari al 50% del debito greco, ma solo un modesto 1% del Pil europeo. Difficile prevederlo. A rimetterci sarebbero tutti, come abbiamo visto, mica solo i tedeschi.

In Italia i tifosi di Syriza sono tanti, anche qui a destra come a sinistra. Di ristrutturazione del debito anche italiano parlano economisti di sinistra come Lucrezia Reichlin e moderati come Paolo Savona o Gustavo Piga. Dalla Lega a Fratelli d’Italia a una bella fetta di Pd passando per un bel po’ di Forza Italia, oltre a Sel e alla Cgil, Syriza da noi ha più tifosi della Juventus.



L’Europa politica ha sbagliato molto, a usare male il tempo regalatole dalla Bce di Mario Draghi. Dacché a molti sembrava un bel passo avanti la decisione annunciata a maggioranza dalla BCE di comprare presto titoli pubblici, entro un mese all’Europa potrebbe esser chiesto di perdere 100 miliardi abbuonandoli ai greci. Per farli tornare al loro scassato settore pubblico, il peggiore d’Europa da decenni, dopo averli messi in ginocchio. Se non sono errori questi, difficile capire che cosa significhi la parola.